Uno sguardo dal ponte

 

Uno sguardo dal ponte

Uno sguardo dal ponte (niente Arthur Miller) in questa brumosa primavera romana ancora nascosta nel boschetto sacro di Alessandro Filipepi detto per sue rotondità il Botticelli; ch’ abbia ragione il comico V. De Luca a suggerirci di sospendere ogni informazione, è lui (o M. Bosé) la verità e la via sul COVID contro i rumors assordanti da oltre un anno dei media-burro spalmati dai governi Marlon Brando sul verginale c… degli ascoltatori. Nel caos al fine gli asini s’aggrappano al rabdomante Draghi rimpiangendo, in cuor loro, di non essere sudditi di S. M. britannica, rosichio di topi per lo scacco di BoJo, le esequie del principe Filippo, anche noi abbiamo un aspirante al trono…di Maria De Filippi.

Stanno ammucchiati alla ricerca comunque d’una sorgente miracolosa le cui fresche acque rigenerino le rughe o peggio le spore politiche, culturali, persino religiose spremutesi nella commedia d’arte del quaquaraqua.

Ai peccatori cocciuti però, pari ai lebbrosi del Levitico, saranno vietati i bagni di rigenerazione alle fonti, accostarsi ad esse, maledetti da preti e tribuni progressisti, allontanati coi “testimoni” dalle benemerite F. O., o processati per il no sbarchi, il no vax, sovranismo miscelato a complottismo, antidaddismo scolastico, sono gli aperturisti scellerati dell’IVA, gli evasori di gabelle, i Robin Hood contro gli sceriffi del Mef, che crepino di fame! Che diamine! Questa è la sinistra italica, il progetto! Non del presepe di Luca Cupiello ma di Speranza, un modello scaduto di marxismo ritirato persino nella Cuba di Canel post castrista.

Ci piacerebbe da questo ponte essere angeli mica di marmo, quelli di Bernini,  per volare in alto verso regioni ormai deserte dello spirito, argonauti di terre dell’anima negata, alla ricerca del pomo dell’eterna vita, ma la battaglia qui preme assai di più contro l’immanenza stucchevole del sopravvivere nel lago ghiacciato di Cocito, nell’Antenòra  dove sono i traditori della patria, quelli fioriti in altra primavera figli di zio Sam o di papà Stalin, immortalati da Guareschi nella padana rubra dove Cristo e Marx, dopo le baruffe sindaco-curato, in fondo si davano la mano.

A testa in giù vedo acque limacciose gorgogliare, impiegati del footing sulle banchine, murales ai bastioni piemontesi, canottieri in acqua, divani dei salotti gauche-chic, silenzio soffiato dalla brezza scuote i capelli, panta rei, l’Italia scorre, Roma scorre, sognando la normalità, prima che il pipistrello dagli occhi a mandorla le affliggesse con la pandemia potando a iosa i suoi rami vecchi.

E’ vero si ballava la mazurka o il saltarello sul ciglio dell’abisso (la recessione) ma era tutto aperto viva Dio, dai monti al mare passando per negozi, stadi, teatri, palestre, perfino scuole in attesa del rito occupazione, un fiume di numeri dentro scatolette ibride d’ultima generazione, o su moto, bici, monopattini sguscianti, ma ‘ndo annate? Disincanto romano, boh! Basta ch’annamo, eh già! Il pugile tricolore scaricava una gragnola di pugnetti, mentre la valkiria von der Leyen era pronta a buttarlo giù con uno schlagen (cazzotto). Poi due cinesi a Roma senza potersi affacciare da nessun ponte dritti dall’hotel  alla Portuense sotto le coperte del Lazzaro Spallanzani, e lì è cominciata la rivoluzione dello Stato, regia del Quirinale.

In poco più d’un mese sotto il ponte passavano sempre più morti, tutti vecchi con patologie pregresse però lockdown, allarme rosso, il piano pandemico era scaduto da un bel pezzo, e chi ci pensava più oramai, nemici invisibili a miliardi, noi a tossire nel gomito a 1 m. di distanza, meglio ordinare un bastimento di mascherine farlocche, ventilatori farlocchi, siringhe d’oro, scrivere a notte fonda fiumi di decreti biblici senza esegeti, seppellire coi camion i lombardi, cazzeggiare da mane a sera nei salottini tv, bucando il video coi faccioni di medici terrorizzanti, conduttori apocalittici, opinionisti clap, paracetamolo & vigile attesa il protocollo, il tutto dentro pollai mediatici artificiali creati con un fine solo, tagliare fette sempre più grandi di libertà negative e positive, la diagnosi è la prevenzione, la prognosi la reclusione di massa.

Affondato l’avvocato della cicogna, lasciato sotto un cavolo coi grilli, urge salire tutti sul gommone a guida europeista, l’isola felice è là, si intravede, se facciamo bene e presto il Ricovery Plan sarà la colomba magica liberatrice del Paese dal gesto delle tasche vuote, alzando un poco il capo scorgeremo canader UE gettare miliardi di banconote sul nostro Bel Paese,  vaccinati in massa sulla nuvola di Fuksas saliremo così la scala di Giacobbe della normalità ripresa.

Dove eravamo ante Covid natum? Alle immobiliari per l’utero in affitto, al maschio e femmina così come vi pare, ai genitori numerati, al trash demenziale di tv e social, alla protesi del cellulare, al calcio DAZN da sofà, poi ius soli, ddl Zan, un po’ di spray ambientalista, caproni espiatori togati, suv, isola degli sfigati, movida, le vacanze e tante, tante altre  belle cosucce raspando da galline nelle aie.

Ma perché c’era dell’altro?

A guardar bene là sotto il ponte si vedono baracche, non sono nobili barboni fieri di tirarsi fuori, ultimi anacoreti spogli di gabbie e di doveri, sono quelli del prima, equilibristi sulla lama da rasoio del lavoro, finiti in fila dai samaritani per un pasto, dai nasoni per un sorso d’acqua, sotto tende o cartoni per un sogno che al mattino svanisce in quest’aria friccicarella d’una primavera che tarda e sotto i ponti d’Italia continuano a passare i morti, tanti, troppi numeri senza un nome e un perché.

Questo ponte degli angeli che lascio era una metafora del cammino dalla terra al cielo, ma gli unici che volano sono i gabbiani, di là passeggiano prossimi conferenzieri in Vaticano, gnostici, agnostici, abortisti, rocchettari, guru della new age un po’ invecchiati, m’avverte una voce: ma guardi che Cristo non abita più qui.

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