“Così felice col vento nei capelli mi corri fra le braccia” Giorgio Gaber la cantava al Festival di Sanremo, credo, 1965. “Ed io, io mi innamoro a poco a poco”. In treno arrivo fino a Portbou, ultima stazione e dove termina la sua corsa. Attraverso a piedi il confine e sono in territorio spagnolo. Sui marciapiedi contadini con ceste di frutta e verdura; passeggeri in attesa del treno per Barcellona. Due carabinieri, austeri, della Guardia Civil vanno avanti e indietro il moschetto in spalla. Scorgo la sua esile figura, i capelli lunghi e chiari, lo zaino e la camicia rosa con le grandi tasche che avevamo comprato insieme al mercatino nei pressi dei Musei Vaticani.
“Le strade brulle e rosse”, ne Il testamento di un condannato, alla vigilia del plotone d’esecuzione, febbraio ’45, Robert Brasillach così definiva la Spagna, a lui così cara (le sue origini catalane, forse con radici arabe, di cui si vantava). La Spagna e Toledo (il secondo capitolo de La ruota del tempo tanto intrigante e coinvolgente – prima di venirne a conoscenza lo vivemmo carne ossa sangue – e del suo assedio nel ’36 a cui dedica due libri in successione) e la guerra civile, di cui scrive con l’amico e cognato Maurice Bardéche e, con lui e la sorella Suzanne, che chiama affettuosamente Sune, in viaggio, forse fra i primi, con la roulotte. Ne fa una sorta di consuntivo ne Il nostro Anteguerra, quasi fosse presago non solo di una stagione a finire ma anche che da questo rovinio, la guerra civile europea, ne sarà egli stesso travolto.
In Drieu La Rochelle, testimone e sognatore (traggo copia da Volpe editore, 1981), Pierre Andreu che gli fu amico e prossimo alle sue scelte “politiche”, aderendo al partito di Jacques Doriot, scrive “nel 1933, pubblica il suo primo grande libro ed il suo primo grande romanzo, Drole de voyage. Drole de voyage è forse, per mio gusto, il romanzo più riuscito di Drieu ed uno dei migliori romanzi pubblicati fra le due guerre”. Con il titolo Che strano viaggio venne pubblicato da Rusconi editore, 1971 (lo ritrovo con la calligrafia di mia madre e l’autorizzazione del direttore del carcere di Regina Coeli) con una breve ed esaustiva introduzione a cura di Alfredo Cattabiani. Il secondo capitolo s’intitola Granada in settembre, dove però poco o nulla ci descrive il luogo (a parte assistendo alla corrida che, però, diviene pretesto per quella ricerca inquieta e forse disperata del ‘divino’ e che troverà a risposta con l’andare incontro alla morte liberamente datasi. Ad esempio, quando il protagonista commenta ‘… allora gli dei trasfigurati in tori, in Dioniso, in Gesù, in Fedra o in Machbeth si sentono soddisfatti dalle creature umane che hanno tratto dal loro ventre e che li ricompensano confessando in un delirio il loro amore per la vita’). Ciò che gli preme è il senso di inquietudine di sfinimento di irrisolutezza di fallimento di Gille e che sono la cifra della modernità. La Spagna ritorna in Gilles (aggiunta una ‘s’) quale scenario a mo’ di conclusione, forse forzato sul piano narrativo e al contempo evocativo per coloro che non s’appagano dell’esistente.
E la Spagna, nel mio errante ricordo (cosa rimane al di là del tempo se non immagini restituite nella loro vividezza), si trasfigura e si plasma e si riverbera nella giovinezza trasognata di Brasillach e Drieu che la raccoglie in quel suo universo simile ad urlo lancinante e fiero, ormai fa parte di compagni ostinati e fedeli.