LiquItalia in funivia

 

LiquItalia in funivia

Che L’Italia sia sotto regime liquidatorio, lo si vede dalle contingenze di questo malsano periodo.

Finita o quasi “l’emergenza covid”, dall’ oggi al domani tornano i problemi di “cosa nostra”…ehm pardon casa nostra.

Dimenticata la tragedia relativa al ponte Morandi di Genova ( anche perchè di mercanzia ne è stata fatta parecchia), archiviata Amatrice – ma quella si sa è calamità ed evento sismico – ecco che al ricominciare compulsivo del fuori porta a tutti i costi, la tragedia preannunciata non poteva che essere servita.

E quale? visto che treni ed autostrade erano già in regime di lavori (quali?) in corso di manutenzione già pre e durante l’emergenza covid? ma certo, la tragedia servita ad un popolo, che non può e non deve stare tranquillo, è quella della funivia Stresa Mottarone in Piemonte.

Ora tralasciando tutto ciò che opinionisti, pennivendoli, finto tecnici dell’ultima ora e direttore dei lavori e della santa fabbrica delle manutenzioni vi diranno, arriviamo al punto.

Ultima manutenzione 2016 (fatta però?) una funivia che ha circa 5/6 sistemi di sicurezza per evitare certi incidenti magicamente si stacca; e stavolta non tranciata dal gioco di due piloti di caccia americani, ma da sé.

Se non si azzardasse troppo la logica del complotto planetario, potremmo ipotizzare l’intervento alieno o divino in questa tragedia e invece signori, no: no perché la “ colpa” è solo da addurre ad un sistema vecchio e marcio che non pone i diretti interessati sotto la propria responsabilità ma c’è un concorso di colpa che guarda caso poi tra mille imputati la colpa sarà della “ vite” non funzionante.

E quella “vite” non è il tralcio di religiosa memoria, no! sono gli appalti passati dall’ operazione non troppo trasparente, alla finta trasparenza tutta; sono gli appalti che necessitano di bandi di gara ben fatti o meglio cuciti ad personam, che non tralascino nulla al caso, ma che garantiscano– come costume italiano post bellico – all’amico dell’amico la vittoria.

Il problema di questo Paese è che abbiamo tutti – chi più chi meno – un cugino al comune; ed è ovvio che poi basta un colpo di vento e il castello di carte burocratiche cade.

Peccato però che su quel castello ad indagare vi sia una magistratura pre-costituita in Logge deviate o bocciofile affini, le stesse che qualcuno nella storia, “conoscendo i suoi polli”, si azzardò a combattere a spada tratta nella speranza forse di tracciare quella linea di onestà su cui la neo nata Italia avrebbe dovuto marciare.

Oggi invece marciamo, ma non nel senso di passo; e questo marciume, entrato persino nella pandemia, che da noi è stata “diversa” ( visti i tagli alla sanità adottati un po’ di anni prima), ci ha fatto “ripartire a primavera “ con la tragedia preannunciata: reggendo ancora per poco ponti autostradali e buoni rapporti con i Benetton, non poteva che avvenire in quota un fatto terzomondista la cui rappresentazione archetipica è la sintesi di ciò che politicamente, geopoliticamente ed economicamente sta attraversando l’Italia di Draghi: la vendita degli ultimi nostri beni al dictat di Strasburgo.

Complici pentastellati e affini, che avrebbero dovuto aprire il parlamento come una scatoletta, si sono  invece ritrovati a dover tappare quei buchi che i loro predecessori hanno quantomeno però saputo fare; paradosso del paradosso quando “gli amici se ne vanno” resta o l’immondizia sotterrata per qualcuno, o un ponte che non regge per qualcun’ altro oppure “ la su sulle montagne”, dove una volta si giungeva con la tradotta, una funivia che non ce la fa più di questa Italia in liquidazione.  

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