La maggior parte dei libri che, a scuola, ci imponevano di studiare, ci rimanevano ostili e li abbandonavamo lesti, preferendo letture da noi stessi scelte o che ci passavamo fra noi come un segreto, un tesoro scavato in isola perduta. Poi abbiamo scoperto e ci siamo ritrovati non più avversi a quanto sui banchi nelle cartelle o sul tavolo ove si facevano svogliati i compiti era dono prezioso. Ebbi a conoscere l’ingegnere nucleare Felice Vinci, non ricordo più il tramite, e leggere Omero nel Baltico, che collocava le vicende narrate nei poemi dell’Iliade e dell’Odissea nel lontano Nord da dove quelle popolazioni – II millennio a.C. – sarebbero scese verso il Mediterraneo portando con loro la memoria di quella guerra, collocata successivamente nel mar Egeo, premessa di quel conflitto tra Oriente e Occidente (il mito del ratto d’Europa, ad esempio, o il nodo di Gordio o le riflessioni di Ernst Juenger e Carl Schmitt nell’omonimo dialogo a distanza, di cui ho parlato sovente). Libro (anno 1995) che si presentava con un suo taglio intrigante puntiglioso documentato – non so dire quanto e se confutabile -. E, molti anni dopo, leggendo di Dominique Venner un samurai d’Occidente scoprire come egli ritenesse l’Iliade fondamento essenziale della ‘storia’, appunto di questo Occidente, che resosi ormai esangue e svirilizzato necessitava di un gesto estremo, tale renderci consapevoli e partecipi della sua decadenza.
Trascrivo poche righe da Preliminari allo studio del fanciullo del filosofo Giovanni Gentile (anno 1921 e il libro risente, malconcio, dell’usura del tempo): ‘Ettore, alle porte Scee, innalzando al cielo il figliuolo Astianatte ed augurandogli un avvenire così glorioso che faccia preferire il figlio al padre nel giudizio dei prodi Troiani, non esprime le speranze di un padre particolare, ma quelle dell’intera umanità adulta di fronte all’umanità adolescente’. E ricordo come l’incontro con la moglie Andromaca e il figlio alla vigilia di una battaglia, una sortita appunto dalle porte della città, il contrasto doloroso e umanissimo tra gli affetti privati e il dovere pubblico (le pagine più belle e strazianti dell’intero Poema), trassero molti di noi, sedicenni, trasudanti romanticismo ondate ormonali voglia di misurare le nostre forze, a schierarsi dalla parte dei ‘vinti’ – in buona e sana compagnia con i sudisti i nativi d’America e, infine, indossare idealmente quella camicia nera, che ci portiamo addosso con gli ideali e i sogni della nostra ormai lontana giovinezza.
Ettore con elmo e corazza ed Astianatte che piange ed Andromaca che lo prega di non esporsi, di restare al suo fianco, di non lasciarli soli – Ettore e Astianatte, come lascito testamentario, continuità ideale e non, l’anagrafe è solo tappa del cammino dello spirito in atto. Una sorta di eterno presente. Troia, però, è presa con l’inganno. Sarà Neottolemo, figlio di Achille, su consiglio di Ulisse, a gettare il bambino dalle mura affinché si estingua la dinastia dei re troiani. Il suo corpicino verrà sepolto da Ecuba nello scudo che fu del padre. Rodolfo ha letto come, secondo la demografia, la soglia verso un percorso senza ritorno, la fine di una civiltà, il declino di un popolo, si possa studiare e fissare su il limite di 1,09 di gravidanze (in Italia, ormai, siamo a 1,02… o qualcosa di simile). Già negli anni Trenta Drieu la Rochelle avvertiva come la Francia e tutta l’Europa fosse ben poca cosa rispetto ai grandi numeri d’oltre-oceano e dell’Asia. Fra i fuggitivi della città in fiamme Enea, che dall’esilio giunge e getterà le fondamenta che daranno vita alla grandezza di Roma. Di questo nostro Paese, ‘bello e inutile’… a quale a chi e per dove toccherà fra coloro che verranno dopo di noi?