Il manifesto della destra arlecchino


 

Il manifesto della destra arlecchino

La lettura della cosiddetta carta dei valori delle destre europee è una cocente delusione, almeno per chi si illudeva di rintracciarvi novità, speranza per il futuro, una visione e un progetto alternativi a quelli dominanti. La carta – da qualcuno chiamata trionfalmente manifesto – sottoscritta da quindici partiti definiti sovranisti ed identitari, tra i quali Fratelli d’ Italia e la Lega, sembra piuttosto una modesta cartolina da Bruxelles, un rattristato cahier de doléances contro le oligarchie dell’Unione Europea. Troppo lunga (849 parole, poco più di cinquemila battute) per essere soltanto una dichiarazione d’intenti, troppo generica, cauta e difensiva per ambire a costituire un manifesto programmatico.

Insomma, un’altra occasione perduta, che mostra una volta di più come le antiquate definizioni, le contrapposizioni di ieri e dell’altro ieri, non spieghino il nostro tempo e ancor meno forniscano una mappa concettuale in grado di trasportare finalmente l’Europa e l’Occidente nel Terzo Millennio. La sinistra è ormai irrecuperabile (silenzio assordante sul lavoro, la povertà, l’esclusione sociale, la precarietà, il dilagare delle periferie esistenziali) prona agli interessi del neo capitalismo, di cui rappresenta l’appendice culturale e la mosca cocchiera, impegnata sul versante della cultura della cancellazione, della decostruzione dell’uomo, dell’enfatizzazione di ogni identità rancorosa e borderline sul versante sessuale e razziale.

Il suo vessillo è il falso arcobaleno a cui è stato cancellato il colore azzurro simbolo di purezza: la bandiera del nulla. All’arcobaleno si contrappone Arlecchino: una destra multicolore, avvolta nei suoi stracci, servitrice di più padroni. Entrambi, Arlecchino e Arcobaleno, fedeli esecutori del Dominio. Nessuna messa in discussione della narrazione postmoderna, liberale, liberista, libertaria e libertina, sulla sua antropologia nichilista, ma semplici deprecazioni, lamenti e rimpianti, più allusi che affermati, per un’inesistente buon tempo antico. Un inutile esercizio di acrobazia politica tutto interno al sistema, di cui accetta di rappresentare l’ala esclusivamente conservatrice senza porre sul tappeto le vere questioni, la globalizzazione, la privatizzazione del mondo, la distruzione della classe media, l’aspirazione al governo globale, la dittatura finanziaria, tecnologica, della sorveglianza, adesso quella sanitaria, senza spendere una sola parola per un tema dirimente, quello dei nuovi divieti, le libertà concrete aggredite dal Dominio.

Già nei primi capoversi, la carta dei sovranisti (rimandiamo a un’altra occasione la contestazione dei termini destra e sinistra, a nostro avviso inservibili per descrivere il presente) declina le generalità. Dopo aver penosamente confuso il concetto di Stato con quello di nazione, rassicura i superiori: un elogio appassionato della Nato, che dette “un senso di sicurezza permanente e creato condizioni ottimali per lo sviluppo”. Premesso che sarebbe stato utile conoscere la definizione di sviluppo dei “destri” europei (solo economia, o anche etica, civiltà, cultura?) è fin troppo chiaro che la professione di atlantismo, a oltre settantasei anni dalla fine della seconda guerra mondiale e a trenta dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, è un indecoroso atto di sottomissione all’egemonia americana e l’accettazione dell’agenda anti russa, ossia anti europea, di Washington e Londra.

Non vogliamo qui discutere il ruolo della Nato nel quarantennio della divisione dell’Europa, ma è l’ora di affermare senza mezzi termini che l’alleanza da subalterni con gli Usa va rivista, che non si giustifica più l’occupazione militare (cento basi in Italia!) e il ruolo di camerieri dell’Impero a stelle e strisce. Un intellettuale del calibro di Franco Cardini, lettore attento della Carta,  esprime con chiarezza il concetto: la NATO è una compagine da rivedere e riformare profondamente sulla base di un patto al quale l’Europa potrebbe aderire purché si fondasse sull’effettiva parità e indipendenza politica dei suoi membri anziché – come oggi si presenta – quale organo attivo dell’egemonia statunitense sui popoli europei ridotti a una sovranità limitata e a una grave subordinazione di fatto, lesiva dei loro diritti e della loro dignità.

I concetti di nazione (“natio”) e di Stato non sono sovrapponibili, come fa in diversi punti la Carta. La difesa della sovranità degli Stati non può far dimenticare che l’Europa è il continente delle diversità, in cui devono essere rispettate le identità minoritarie, le “nazioni senza Stato”, le lingue regionali.

Desta perplessità anche il richiamo all’identità “giudaico cristiana” dell’Europa. Le destre europee mostrano qui tutti i loro complessi di inferiorità e tutti i timori di non accettazione nel “salotto buono” delle istituzioni e della cultura dominante. E’ ancora Cardini a rimettere le cose a posto sull’ equivoco- alimentato sulla base di una superficiale affermazione anti-antisemita. “Il giudeo cristianesimo fu una confessione religiosa medievale espressione di quegli ebrei che, pur volendo mantenere intatta la fede mosaica, intendevano affermare che il Messia era già comparso nel mondo, ed era Gesù di Nazareth.” La civiltà europea si è fondata sulla base di un cristianesimo che aveva metabolizzato l’ebraismo accogliendo l’eredità greco romana, cui nel corso del tempo si aggiunsero altri apporti, germanici, celtici, slavi, bizantini, mediterranei.

Questo sotto il profilo culturale e geopolitico. Ancora più deludente è il peso “politico“ della carta. Dichiara di battersi per la sovranità nazionale e in difesa della famiglia ( “unità fondamentale delle nostre nazioni”), denuncia il protagonismo delle oligarchie di Bruxelles impegnate nella costruzione di un super Stato e nella cancellazione di fatto delle costituzioni, rivendica il principio di sussidiarietà, denuncia “ le manifestazioni della pericolosa e invasiva ingegneria sociale del passato” ( e il presente, ben più pericoloso?) , ma non esce per un istante dal recinto liberale liberista. Prudenti sul versante libertario-libertino, le destre sovraniste si dichiarano sì avversarie della cancellazione culturale e civile in atto, ma non si possono deprecare gli effetti senza individuare i responsabili, combattere e rimuovere le cause, cioè l’imposizione del liberismo economico – il mercato misura di tutte le cose- il soggettivismo estremo, esito naturale del liberalismo, nonché il materialismo “progressista” e scientista condiviso da liberali, socialisti e marxisti.

Altro che civiltà “giudaico-cristiana”! Quanto meno, ci sarebbe piaciuto leggere una critica al liberalismo in cui si affermasse che quella stessa tradizione- tanto importante in Europa- funziona solo quando non è pura, ovvero quando convive con elementi che le sono estranei:    le fedi religiose, le tradizioni spirituali, l’amore per le comunità, il principio nazionale, la giustizia sociale, il riconoscimento che non di solo pane vive l’uomo, il rispetto per il lavoro e per il lavoratore, la sua intrinseca dignità e il diritto a sicurezza, futuro e giusta mercede. Queste sono le condizioni previe per la convivenza umana, le fonti della libertà e della civiltà. Il liberalismo-liberismo le dissecca e le nega tutte, finendo per diventare insostenibile proprio in quanto taglia le radici su cui è nato.

Vi è nella Carta un silenzio assordante in ordine ai temi dei monopoli privati, dei beni comuni da sottrarre all’arbitrio del mercato, della dignità e del diritto al lavoro, della sicurezza civile e morale, della dimensione pubblica che deve prevalere su quella privata. Non basta gridare sovranità e proclamare amore per la famiglia, se non si indicano chiaramente i loro nemici, che militano nel campo liberale e liberista. Perfino l’economista più liberale di tutti, Von Hajek, dichiarava guerra al monopolio (il contrario del mercato!) e riconosceva che una società “liberale” può funzionare solo laddove vigono principi comuni riassumibili nella triade Dio, patria e famiglia, cui vanno aggiunti lavoro, dignità, libertà.

Gli autori della Carta accennano al problema dell’immigrazione e a quello della natalità: giusto collegamento, ma non è possibile affrontare questi temi senza rinunciare alla ragione strumentale, soggettiva ed egoistica dei liberali e all’indifferenza per le identità del campo progressista, per il quale l’immigrazione è punitiva – un giusto pugno nello stomaco per i bianchi razzisti – e sostitutiva, senza riguardo ai costumi, alla storia e neppure al fatto che satura al ribasso il mercato del lavoro , cancellando i diritti sociali conquistati in un secolo di battaglie. Nessuna sovranità nazionale e popolare può essere ristabilita senza attaccare alla radice il mercatismo, la globalizzazione imposta, la “mano invisibile “della ragione economica, la privatizzazione del mondo.

Nessuna difesa della famiglia, nessuna ripresa della natalità, inoltre, potrà avvenire in presenza della programmatica precarietà di vita e di lavoro voluta dal Dominio, oltreché dell’attacco all’intero impianto della legge naturale. Siamo di fronte, tra i partiti firmatari della carta, a uno sfacciato travestimento conservatore e perfino tradizionale del lupo liberal liberista. I partiti del manifesto- o meglio della cartolina da Bruxelles- sono gli stessi che propongono tassazioni minime di fatto favorevoli ai ricchi, senza incidere sul trattamento delle famiglie (flat tax e simili) e che difendono le più bieche forme di lavoro malpagato, precario, a tempo e in affitto. Il caporalato post moderno al servizio di lorsignori.

Nulla di nuovo, sia chiaro. La maschera conservatrice è il più riuscito, il più antico dei travestimenti liberali e sembra incredibile che sia ancora creduta dinanzi allo smantellamento delle identità nazionali, comunitarie, spirituali e dell’attacco mostruoso sferrato ai fondamenti antropologici dell’umanità occidentale a cui assistiamo da parte dei padroni universali. Di più: dovrebbe essere screditata soprattutto agli occhi dei piccoli e medi imprenditori, degli artigiani e di chiunque non voglia vivere dell’elemosina di Stato. Quanto al rispetto per le istanze spirituali, morali e religiose, quale credibilità può avere l’indifferentismo liberale, per il quale l’unica cosa davvero importante è che si possano fare affari (business, as usual) e tutto abbia il cartellino del prezzo sul mercato globale?

Non si possono servire insieme Dio e Mammona. Lo diciamo all’arcobaleno sinistro a sei colori – traditore degli umili – ma anche all’arlecchino destro- terminale. L’impressione della Carta, il retrogusto amaro è “vorrei, ma non posso”. E su alcuni temi, nemmeno vogliono, giacché non osano profferire verbo sulla più evidente mancanza di sovranità, quella di Stati vassalli o valvassini degli Usa.    

Affermano di credere nei “valori “di sempre, ma solo in parte, a bassa voce, moderatamente, per non disturbare il manovratore, senza mettere in discussione il sistema di cui deprecano gli esiti. La stessa opposizione ai meccanismi dell’Unione Europea è di facciata, un elenco di doglianze alle quali non si offre rimedio, se non asserendo di volersi opporre alla trasformazione dell’UE “in una forma speciale di oligarchia”. Lo è già e non vi è nulla di speciale, se non il tenace lavoro per rendere inutili, carta straccia, le stesse costituzioni nazionali. Intanto governi e parlamenti, insieme con la democrazia rappresentativa, vanto liberale, sono stati da tempo battuti in breccia e resi obsoleti dalle organizzazioni transnazionali. Ma su di esse- banche centrali e d’affari, ONU, Organizzazione Mondiale della Sanità, WTO, la Carta tace, ed è un silenzio imbarazzante per i firmatari, triste per i popoli e per chi ancora ripone speranze nella destra arlecchino, sempre al servizio dei soliti padroni e mai dei popoli, delle nazioni, dei principi che proclama a gran voce a fini elettorali.

Nessuna parola sulla deriva da Stato etico delle nuove proibizioni, degli interdetti di una antropologia distruttiva, se non un fuggevole accenno all’ “iperattivismo moralista” di non meglio identificate “forze radicali”, che sono, invece, i banditori del pensiero ufficiale del liberal nichilismo. Silenzio di tomba sull’abolizione di fatto dell’uguaglianza di fronte alla legge a favore delle più disparate minoranze – specie sessuali – e di un femminismo vendicativo, mentre si cercherebbe invano una critica, anche solo accennata, alla distruzione delle classi medie, alla proletarizzazione delle giovani generazioni; nessuna intransigente difesa delle libertà concrete.

Abbiamo scritto spesso che tocca difendere la proprietà e l’iniziativa privata dalla destra economica e i diritti sociali dalla sinistra politica. Oggi dobbiamo resistere anche a un attacco tecnocratico il cui obiettivo è il governo degli esperti e degli scienziati- coloro che “conoscono la verità” – ossia ciò che viene spacciato per scienza-    nonché il formidabile urto di un’inedita dittatura della sorveglianza e della medicalizzazione totale della vita in nome della paura divenuta strumento di potere.

Sulla finanza, sul potere del denaro, l’esproprio di miliardi di persone da parte dell’oligarchia “estrattiva”, la prigione del debito nessuna parola, segno che i destri arlecchino tutto desiderano, fuorché scontrarsi con i poteri forti. La domanda giunge spontanea: a che cosa servite, cari sovranisti-destri-conservatori, se la vostra narrazione è simile a quella del progressismo, con qualche pennellata di “valori” e un pizzico di prudenza in più sull’immigrazione e sul tramonto degli Stati nazionali? Alla copia cauta, all’imitazione, la gente preferirà sempre l’originale. Il liberal liberismo, nella variante vincente, progressista, nichilista, privatista, sedicente libertaria ma in realtà proibizionista, tecnocratica e transumana, può dormire sonni tranquilli. A destra non si odono squilli di tromba, solo sussurri a mezza voce.

La grande, necessaria, urgente battaglia per una nuova ideologia di libertà che faccia uscire dal pantano e inverta la corsa verso il basso non avrà tra i protagonisti gli ultimi di ieri. La Carta dei valori delle destre sedicenti sovraniste e conservatrici ne è una prova schiacciante. Destra e sinistra si alimentano a vicenda: campano insieme, cadranno insieme. Non resta che posizionarsi risolutamente tra i primi di domani, gettando via la zavorra del passato in nome dei valori permanenti e di un coraggioso umanesimo aperto alla trascendenza e alla socialità, che progetti il futuro senza cancellare trenta secoli di un passato grande e glorioso. Qualcuno impugnerà la bandiera della libertà e delle libertà: ci dovremo essere, con tutto l’entusiasmo, tutta l’intelligenza, tutta la generosità. Ne riparleremo, oltre i finti arcobaleni e il costume rappezzato di Arlecchino.

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