“Questo motto è: Patria o muerte” fu l’epilogo al torrentizio discorso sfida del Che pronunciato dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU l’11 dicembre 1964, “motto che conta sull’appoggio e la comprensione di tutti i popoli del mondo e, soprattutto, del campo socialista, con alla testa l’Unione Sovietica”.
Scelta di campo argomentata e proclamata da Guevara, da un lato l’imperialismo yankee sanguisuga del Terzo Mondo, soprattutto de l’ America latina, dall’altra la dura lotta dei popoli proletari, sfruttati dal capitalismo radicale dello zio Sam sposando la causa della revolucion marxista-leninista e l’abbraccio all’altra faccia di Giano dei blocchi contrapposti, l’imperialismo sovietico, scelta delirante di servaggio al punto tale d’ innescare, nel ‘62, la miccia d’ un possibile conflitto nucleare con la crisi dei missili di Kruscev alzati dall’isola caraibica in direzione Florida.
Nel caleidoscopio delle posizioni politiche nostrane, scontata l’idolatria comunista per il castrismo di Fidel, anche nei bivacchi sulla riva destra ardeva il fuoco per il Che, il Guerrillero Heroico immortalato da A. Korda, canticchiando “De tu querida presencia/Comandante Che Guevara”, icona laica nei poster appesi in cameretta, stampata all’infinito su t-shirt, gadget nei mercatini alle Feste dell’Unità, il mito dell’eroe “giovane e bello” in guerra contro i plutocrati al fianco dei diseredati, aveva il suo fascino romantico anche per chi studiava Céline, Sorel, Drieu La Rochelle mandando a memoria Lavoro e usura di Ezra Weston Loomis Pound.
La piccola Cuba ribelle con le sue piantagioni di canna da zucchero, le sue vecchie chevrolet rosa o pistacchio, i sigari artigianali quasi un logo del suo mondo era l’avanguardia della resistenza contro la globalizzazione (preconizzata da Marx) di matrice anglo-americana, non per niente Fidel era no-global, Cuba la Nike di un sistema eco-sostenibile compresa l’architettura (vedi la Scuola Nazionale delle Arti del nostro V. Garatti), con sanità e istruzione pubblici ma efficienti, una Fort Alamo accerchiata, invisa, strozzata dal capestro dall’embargo, Cuba sotto agguato dei coyotes dirimpettai.
Sono passati trent’anni dall’implosione dell’U.R.S.S., l’altro impero malvisto anche dall’ Ernesto in motocicletta, del Leader Maximo si conservano le ceneri a Santiago, Raúl ha novant’anni, il castrismo, cocktail di comunismo in salsa José Martí (eroe nazionale cubano dell’indipendenza) più caudillismo latino-americano, ha fatto il proprio tempo, ha scritto la Storia recente dell’isola, ma è uno zombie disegnato sui murales de l’Avana né può più reggersi sulle stampelle del ei fu, l’internet-generation non è all’assalto della Caserma Moncada o in armi sulla Sierra Maestra contro Fulgencio, è ovunque, viaggia nell’etere, twitta veloce, annusa quella droga vietata in sessant’anni a Cuba, la libertà.
La triade giacobina liberté, égalité, fraternité è fallita, un motto salottiero parigino cavalcato dalla rivoluzione francese, furono tre frecce lanciate dalla classe borghese, il Quarto Stato restò fuori dalla camera dei bottoni, fuori dall’assemblea nazionale, i proletari severi in marcia di protesta sono ancor oggi uno splendido quadro di G. Pelizza da Volpedo ma datato 1891. Il potere politico, economico, sociale è in pugno alla classe borghese, la ricchezza non si concentra più nelle campagne, nelle fabbriche, sono già archeologia (la classe operaia?) essa lievita nelle banche, nell’alta finanza, negli indici delle borse, fiumi di denaro invisibile alimentano i funghi amari della speculazione e la spoliazione indiretta della massa precaria dei lavoratori, sempre in affanno nel soddisfare bisogni, nel rincorrere un futuro ch’è una bolla dei sogni. Più il denaro si concentra in un’élite sempre più ristretta, oligopolio del potere reale, più le condizioni dei lavoratori peggiorano e la rincorsa degli ingegneri neutri quanto gli scienziati a una progressiva, massiccia automazione del lavoro , renderà l’uomo inutile consumatore di beni che non può acquistare perché senza salario, per assurdo il capitalismo produrrà esorbitanti quantità di beni senza più un mercato.
Il quadro è questo e Marx lo aveva profeticamente previsto perciò, negli anni ‘50, un popolo soffocato dalla dittatura del capitalismo internazionale non poteva che scegliere l’analisi marxista per l’edificazione di una Patria realmente indipendente perché socialista, ma “La Storia dell’umanità è quasi totalmente una narrazione di progetti falliti e speranze deluse” un aforisma di Samuel Johnson, il comunismo castrista deve fare i conti ora con la fluidità del presente, l’economia cubana è a picco e solleva la nuova generazione, fischia il vento della rivolta, la libertad es vida, la repressione l’ultimo atto di una nomenklatura giurassica.
Un sasso dalla scarpa e una speranza per l’orgoglioso popolo cubano, costruire sull’isola la “terza via” che fu modello sociale italiano di insubordinazione fondante un nuovo sistema sociale del lavoro di contro quello anglosassone che marciava con la V Armata.