A cura del professor Giuseppe Parlato, esce per i tipi della Luni l’edizione completa della «Corrispondenza repubblicana», l’organo personale con il quale Mussolini, durante i 600 giorni della Repubblica Sociale, esprimeva direttamente, anche se in forma anonima, le sue considerazioni sull’andamento del conflitto e soprattutto sui successivi destini dell’Italia e del mondo. Si tratta di un documento di insostituibile importanza per la storia del neofascismo saloino, incredibilmente poco presente nella storiografia del periodo, che permette di comprendere, come nota il curatore, non solo gli stati d’animo del duce nella sua ultima esperienza politica, ma, soprattutto, di delineare i problemi, le illusioni e i contrasti che animarono la repubblica “necessaria” del Garda.
Si tratta di una sorta di agenzia di stampa che accompagnava la Stefani, per fornire un quadro e un commento degli eventi internazionali di cui ormai vi era poca traccia nei giornali, privi di corrispondenti e tagliati fuori dalle notizie persino del resto del Paese. Come ogni agenzia di stampa, gli articoli uscivano anonimi, benché fosse di dominio pubblico che li scrivesse Mussolini – 66 su 102 – o comunque li revisionasse, controllasse e approvasse. Le note venivano lette dopo il radio giornale delle 20 e il duce curava nei minimi dettagli la trasmissione, a cominciare da chi le avrebbe lette; le informazioni provenivano dalle intercettazioni radio nemiche, dai discorsi degli avversari politici letti nei comunicati alleati, ma era stato costituito anche un gruppo operativo presso il Minculpop che si dedicava alla ricerca di notizie.
Si avverte, nella «Corrispondenza repubblicana», il miglior Mussolini giornalista: caustico, tagliente, polemico, attento a misurare la ricaduta delle parole. E forse, come ipotizza il curatore, si avverte in esse l’illusione di poter incidere ancora in qualche modo e svolgere un ruolo autonomo dai tedeschi. Non a caso, il periodo di maggiore intensità degli articoli mussoliniani si ebbero nei primi mesi della Rsi, mentre una flessione si avverte dopo la caduta di Roma il 4 giugno 1944, quando ormai non era possibile farsi nessuna illusione in merito all’esito finale del conflitto. Se quindi nel primo periodo Mussolini si concentra sui tradimenti del 25 luglio e dell’8 settembre, successivamente prevalgono le note sulla situazione internazionale. La lettura del libro consente di cogliere la capacità mussoliniana di prevedere molti degli esiti del dopoguerra, con la denuncia dell’innaturale alleanza tra le potenze occidentali e Stalin e della falsa democrazia che la vittoria del liberalcapitalismo avrebbe prodotto.
Se con Roosvelt la penna del duce è intinta nel vetriolo, con Churchill già si avverte una sfumatura diversa, per il deciso anticomunismo del premier inglese e per il disprezzo che manifestava verso i partiti antifascisti italiani. Con Stalin il tono è ancora diverso, come se nel duce – scrive Parlato – vi fosse una sorta di rispetto per un nemico che ha saputo realizzare una rivoluzione che in Italia non si era potuta compiere. In definitiva, si tratta di una lettura imprescindibile per chi vuole capire davvero quegli anni tragici e complessi che animarono la fine della guerra in Italia, al di fuori dello schema stantio delle giornate da Sodoma e Gomorra.