Nel chiostro del convento delle Dame della Croce a Parigi, ove Rossana s’è ritirata dopo aver appreso della morte di Cristiano, quel “mio amico”, fedele e irriverente, che è Cyrano de Bergerac s’appoggia all’albero fronzuto al centro della scena, come da testo, tirando di spada alle ombre della sera, “Che dite? … è vana … so … la resistenza adesso, ma non si pugna nella speranza del successo! No, no: più bello è battersi quando è invano – Qual fosco drappello è lì? – son mille … ah sì vi riconosco vecchi nemici miei, siete tutti colà! La Menzogna? Ecco, prendi! … ecco, ecco la Viltà ed ecco i Compromessi, i Pregiudizi! Che io venga a patti? Mai! – Ed eccoti anche te, Stoltezza! – Io so che alfine sarò da voi disfatto; ma non monta: io mi batto, io mi batto, io mi batto …” (da bambino, al cinema all’aperto Zanarini, i lacrimoni il groppo in gola le mani serrate ai braccioli in legno e l’inespressa promessa, inconsapevole ancora, che egli sarebbe stato al mio fianco con il Corsaro Nero e il Don Chisciotte e per sempre, come tanti “eroi” della mia infanzia fra i cespugli di bambù nel giardino di viale M. Ceccarini e poi, in una giovinezza forse amara e certo trasognante, per le strade d’Europa. Essi, e immoti e fedeli e presenti, io di meno – e me ne dolgo assai – all’ombra con cui cercavano di preservarmi proprio da quel “fosco drappello”).
Io stesso, più volte, ho detto e l’ho scritto come la vita volga all’inesorabile tramonto quando la mente ed il cuore si affollano, non richiesti, di ricordi e questi divengono e s’impongono ben più d’immagini e voci del quotidiano esperire. E, però, tramontare e perire non sono la medesima cosa, come insegnava Martin Heidegger perché nel tramonto si raccoglie e si protegge l’aurora a venire. Così i ricordi possono trainare oltre il contingente e divenire patrimonio oltre colui che li rammemora e assumere, in qualche modo, valore di testimonianza e di riflessione.
A causa di polmonite Il 25 agosto del 1900 moriva, dopo oltre undici anni di assenza del gesto e della parola e d’ogni pensare, muta presenza di sé medesimo, “l’ospite più inquietante” fra i filosofi, Friedrich Nietzsche. E questo “nostro” Maestro – e sarei tentato e, forse, a volte ho avuto tanto ardire da collocarlo fra gli “amici” più cari– ci ha educato a metter in ogni nostro scritto qualcosa di noi stessi. Senza la carne e le ossa e il sangue cosa sarebbe il nostro dire se non vanità e vacuità da fantasmi? Tanti i suoi aforismi, tanti ove ciascuno di noi può ritrovarsi e condividere, forse un di più e di troppo per chi vuole saccheggiarne. Socrate nulla volle lasciare di scritto e Platone avrebbe voluto che nulla dei suoi dialoghi restasse – i greci sapevano come il fraintendimento fosse in agguato. Nel 2006, pubblicando Strade d’Europa, Rodolfo ed io apponemmo in quarta di copertina l’aforisma: “ecco nuvole temporalesche: ma è questo un buon motivo perché noi, spiriti liberi, eterei, giocondi, non dobbiamo procurarci una buona giornata?”. Appunto. Nella stagione ove domina il colore grigio della vergogna – pandemia dello spirito – datevi, dunque, alla rapina – non possiedo il rimpianto o rimorso o rancore e alcun rinnegamento così ben poco potete prendervi
– e, con voi e con la Stupidità in testa, quel “fosco drappello” potrà forse averla vinta. Magro bottino. (e mi rivolgo a te, Mario) “Voi mi strappate tutto, tutto: il lauro e la rosa! Strappate pur! Malgrado vostro, c’è qualche cosa ch’io mi porto (e stasera quando in cielo entrerò, fiero l’azzurra soglia salutarne io potrò;) ch’io porto meco, senza piega né macchia, a Dio, vostro malgrado…”.
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