A breve i 365 giorni del calendario non basteranno più per tutti i giorni del ricordo e della memoria, delle celebrazioni e dell’indignazione, dei tipi più vari e discutibili. Proprio per questo, crediamo, si sta usando lo sport per moltiplicare le occasioni in cui si possano compiere atti di contrizione collettivi, richieste di perdono per fatti di mezzo millennio fa, di cui nessun individuo, per semplici ragioni anagrafiche, può essere considerato colpevole. Gli intolleranti politicamente corretti si indignano se giocatori di calcio non si inginocchiano per commemorare un delinquente ucciso dalla polizia americana, notoriamente violenta con bianchi e neri, come ha potuto constatare chiunque sia stato negli Usa: e spesso di persona. Per tutta queste serie di problemi di un’epoca che ha perso il senso della realtà e vive in una bolla distopica dalla quale speriamo presto di uscire, sembrava normale che le Olimpiadi che si sono svolte ad agosto, in Giappone, prevedessero minuti di silenzio o inginocchiamenti, almeno degli atleti statunitensi, per le bombe atomiche che devastarono il Giappone nel 1945, quando il 6 agosto una bomba all’uranio distrusse Hiroshima, vaporizzando all’istante 80 mila persone, tutti civili, e quando l’8 dello stesso mese, 40 mila civili di Nagasaki subirono la stessa sorte per il lancio di una bomba al plutonio. Non considerando ovviamente i successivi morti per fame, per mancanza di medicine e gli effetti delle radiazioni che ancora oggi si avvertono. E invece, come ha potuto non vedere chi ha seguito le competizioni olimpiche, il CIO ha rifiutato ogni commemorazione, nonostante la richiesta del presidente delle organizzazioni per le vittime della bomba atomica, Toshiyuki Mimaki. Perché? Eppure la cerimonia di chiusura si è svolta proprio l’8 agosto e due giorni prima quello che ormai assomiglia più a un circo che a una competizione sportiva, con discipline come lo skateboard e, a breve, i videogiochi, era ancora in piedi. Probabilmente molto ha inciso il nuovo governo succeduto al conservatore Shinzo Abe, molto più immigrazionista, mondialista e prono agli organi internazionali; molto ha inciso, crediamo, il fatto che, nonostante gli anni, i giorni della memoria, dell’indignazione e della commemorazione, i popoli sconfitti vivono ancora le conseguenze di una guerra perduta. Le loro sofferenze non sono cioè politicamente corrette e non meritano troppo riguardo. Per ogni ulteriore informazione chiedere all’Italia.
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