Ho letto in questi giorni (è più esatto scrivere di aver riletto) ‘Fascista da morire’ di Mario Bernardi Guardi, edito nel 2015 da Mauro Pagliai Editore, e indicato come romanzo. Circa 200 pagine raccolte in capitoli brevi ove il protagonista, un giovane fiorentino, decide di raggiungere sui tetti gli estremi ‘franchi tiratori’, agosto ’44, che vollero in armi e con il loro consapevole sacrificio attestare come non tutti gli italiani erano eredi dell’8 di settembre e beoti e plaudenti ‘i liberatori’ e lesti a raccogliere cioccolata e sigarette.
Una pagina di storia poco nota, va da sé, visto che dal ’45 in poi siamo ‘liberamente’ servili alla bandiera stella e strisce e lo dimostriamo e senza alcuna vergogna o pudore (così il caso di Sigonella lo attesta per la sua unicità e, al contempo e al momento opportuno, gli USA hanno richiesto e fatto pagare il conto). Dei ‘franchi tiratori’ s’è parlato in una trasmissione di Radio Fenice Europa, che ha accolto un breve mio intervento e che ho riproposto su Il Pensiero forte, la scorsa settimana.
Il libro è una sorta di diario, di serrato monologo – o dialogo a distanza – tra questo giovane, il cui nome Mario rimanda all’autore stesso (civetteria, forse, o più intimo coinvolgimento, crediamo) e il suo Maestro, quel Berto Ricci, a cui lo storico Paolo Buchignani aveva dedicato uno studio dal titolo ‘Un fascismo impossibile: l’eresia di Berto Ricci nella cultura del ventennio’ (1994), fra le figure più nobili e ardenti della fucina che il Fascismo seppe darsi, forse suo malgrado, e che, partito volontario, era caduto il 2 febbraio del ’41 a Bir Gandula, in piedi mitragliato da uno Spitfire inglese. Senza la sua presenza, la rivista ‘L’Universale’ da lui fondata il pensiero e la coerenza a lascito testamentario, saremmo tutti noi più soli e più poveri. (Berto Ricci che, ad esempio, annota ‘Un nazionalista è un tirchio. Un patriota è generoso’.
Risposta alta nel dibattito su sovranismo e i suoi detrattori, sull’Europa che non c’è o che non è quella che vorremmo) … Un dialogo con Romano Bilenchi, che gli era stato amico e da fascista s’era fatto comunista e partigiano – eco di quell’’impazienza’ che Gentile aveva evidenziato in molti suoi discepoli e, fra costoro, coloro che ne decretarono l’assassinio proprio a Firenze -. E vi ritroviamo le pagine celebri di Curzio Malaparte che, in un capitolo de ‘La pelle’, aveva descritto, unico per tanti anni, la fucilazione di alcuni ‘franchi tiratori’ sul sagrato di Santa Maria Novella.
Un libro è tante cose ed io non sono un critico, solo un lettore che, tra le righe, cerca di colmare i vuoti del proprio vissuto le esperienze e quelle perse i sogni a rendergli la giovinezza e gli ideali a protezione delle onde del tempo e delle circostanze. Poca cosa, se si vuole, eppure un angolo una trincea un silenzio contro l’osceno rigurgito il grigiore dei giorni la volgarità del presente. ‘Noi siamo uomini d’oggi…’, così poetava Drieu, invitandoci a edificare ‘la torre della nostra disperazione e del nostro orgoglio’ …
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