Solitudine e isolamento


 

Solitudine e isolamento

Osservo – e la mia vanità se ne compiace – come il mio ultimo intervento abbia suscitato un discreto interesse per numero di lettori e commenti. Forse il merito spetta, purtroppo, alla condizione a cui ci ha relegato, ormai quasi una abitudine (distanziamento, mascherina, lasciapassare anche quando non si richiedono), la presunta o artatamente costruita o espressione d’un mondo malato pandemia e le disposizioni di una classe politica inetta e servile, che da mediocri cialtroni e guitti ne trae giovamento e si preserva il culo attaccato alla poltrona. E qui mi fermo perché mi annoia il cicaleggio dei pro e contro il politicamente corretto… Della solitudine e dell’isolamento il tema dell’argomentare; l’incontro con il professor Giuseppe Tucci a rafforzarne il contenuto.                                                                                                                  

Non intendo, però, far scadere quell’incontro a mero pretesto né ridurre il valore e lo spessore di Tucci a poca cosa per una ‘paginetta’ a cui Bastian Contrario si diletta ormai costretto, tempo e circostanze, ed è quanto gli rimane quale espressione e rapporto con la realtà. Così trascrivo alcune righe, sempre di Tucci e dal medesimo libro che citavo la volta scorsa (Non sono un intellettuale, pag. 229-230, Il Cerchio). ‘… la solitudine mi è sempre apparsa la migliore consigliera ed amica: estingue le diffidenze, i sospetti, quello stato di allarme continuo che, nella vita consociata, per la necessità della difesa e della vigilanza, rendono l’uomo guardingo: la vita all’aria aperta, fra gli alberi o le rocce, sotto il sole o lo stupore freddo della luna, restituisce all’uomo una serenità innocente. Queste città rimbombanti di rumori e stridori e scoppiettii, la corsa obbligata fra mura e rotaie, il necessario incedere a testa china nei lunghi corridoi delle strade che tagliano il cielo a fette, soprattutto il vivere inconsapevoli della Grande Madre comune, privano l’uomo di resistenze fisiche necessarie, logorano i nervi, intossicano lo spirito, ingombrano la mente di cure vane’. Ed altre e ancora significative le citazioni possibili. Come potrei rendere eco a Julius Evola e Meditazioni delle Vette o a Il Monte Analogo di René Daumal e alle tante riflessioni – di sentieri interrotti e l’analogia con la radura e la luce – di Martin Heidegger nella baita a Todtnauberg nella Foresta Nera o nel rivedere alcuni film di Werner Herzog, il regista tedesco, che li volle girare dal vivo e donarsi al rischio e nella temerarietà dei ghiacci e dei picchi innevati e ostili. Sempre Tucci ricordava la tradizione induista che traduceva le cime maestose dell’Himalaya nel sorriso della Terra alle divinità del Cielo.                                                                                                          

Solitudine e isolamento. Sono grato a quei giovani che, nel triste e tristo presente, si affidano alle escursioni quali ‘orientamenti’ per un percorso di rigenerazione oltre il corpo in nome dello spirito. E rammento, quando ancora il passo si credeva sicuro, il sentiero verso l’eremo di Sant’Agapito i boschi delle Alpi bellunesi e – di questo sono grato alla comunità di Littoria – i solstizi sul Semprevisa… Sono grato perché affido i miei giorni oltre l’isolamento attuale, che incatena sì il corpo ma fatica a triturare i sogni e i ricordi tanti (non mi sentivo prigioniero neppure nella cella di isolamento, nei mesi trascorsi a Villa Triste, memore di quel mio fratello allora più grande che, dalla cella n.77 dei condannati a morte, ci invitava a coltivare le virtù della fierezza e della speranza). Così l’incontro con Tucci, la sua propensione alla solitudine sono un ulteriore viatico a coloro che vanno scoprendo il proprio Sé contro i rumori e gli affanni del mondo, non necessariamente trascendendolo, ma contro le sue attuali forme indecenti e servili.

 

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