La “fortuna” italiana di A. James Gregor
Invito il paziente lettore a prestare attenzione alle virgolette che circondano il termine fortuna attribuito, naturalmente, all’eco in Italia dell’opera del grande storico, americano di nascita, ma italiano di origine e per scelta d’amore. Anthony Gimigliano, questo il suo nome, di padre catanzarese e di madre barese, spese gran parte della sua lunga vita di studioso – è morto nel 2019, a novant’anni – nello studio del fascismo italiano e delle sue propaggini nella storia successiva.
Uno studio compiuto per amore del sapere e non per accaparrarsi meriti accademici e politici, dei quali non aveva certo bisogno visto che insegnava nell’università statunitense più prestigiosa, quella di Berkeley e non doveva vedersi riconosciute patenti di antifascismo, visto che apparteneva alla sponda atlantica che aveva vinto la guerra.
Gregor, che aveva un approccio sociologico alla storia, definì il fascismo una dittatura di sviluppo, necessaria per un Paese come l’Italia che era arrivato tardi all’unità e ancora più tardi nell’arena della lotta tra le nazioni per lo sviluppo.
Nei numerosi libri che Gregor ha dedicato all’argomento – da L’ideologia del fascismo a Il fascismo: interpretazioni e giudizi a Gli intellettuali di Mussolini a Giovanni Gentile il filosofo del fascismo a Riflessioni sul fascismo italiano – l’analisi di Gregor si è sempre mostrata acuta e capace di aprire nuove prospettive e soprattutto capace di mostrare il fascismo come la necessaria e quindi legittima reazione di un Paese che aveva vinto con grandi sacrifici la Grande Guerra e non voleva tornare a sottomettersi agli aggressivi imperialismi liberaldemocratici.
Era ovvio che in una cultura provinciale, asfittica e pregiudiziale come quella italiana, i suoi libri non ebbero nessuna eco nell’ambiente scientifico e la loro pubblicazione avvenne a opera di case editrici di destra che, se pure avevano e hanno grande diffusione in determinati ambienti, vengono ghettizzate dalla cultura ufficiale.
Gregor si doleva che nell’Italia da lui tanto amata, i suoi studi non riuscissero a far breccia; un dolore ingenuo che dimostra come Gregor non conoscesse davvero una cultura ufficiale, come quella italiana, disponibile alla deformazione storica, quando non alla menzogna aperta, pur di restare nei binari del politicamente corretto. A. James Gregor si interessò anche della definizione di neofascismo e di come, a suo avviso, meritasse questa definizione piuttosto la Cina che il Msi o il pensiero di Evola; fedele in questo alla sua idea che il fascismo è una dittatura di sviluppo.
Non tutto, naturalmente, è pienamente condivisibile e anche chi scrive non condivide pienamente tutto, ma non ci si può che compiacere che per le edizioni Rubbettino sia apparso un ampio volume che raccoglie, a cura di Antonio Messina, gli atti di un Convegno dedicato allo storico statunitense: Comprendere il Novecento tra storia e scienze sociali. La ricerca di A. James Gregor. Un volume che viene a colmare una vergognosa lacuna della cultura italiana e che si spera possa dare avvio a una riflessione sull’opera storiografica di un “nemico” che amava l’Italia.
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