Solitudine e ricerca della felicità possibile
‘Ho voluto riempirmi l’anima di grandezza. E’ un cibo che costa caro. Ne pago il conto. La fortuna che ho avuto di seguire la mia vocazione, di forgiarmi un alto destino, compensa le più sferzanti amarezze. Considero, con gli occhi chiari, questa vita che mi ha dato un massimo di tormenti e di gioie. Ricapitolo. Ne valeva la pena. Sono felice. Ma sì, sono felice’. Così Léon Degrelle. E così concludevo, rifacendomi appunto a lui, il mio precedente intervento – titolo Altre solitudini. Era – ed è – mio intento proteggere l’idea di solitudine dall’aggressione, dal mefitico inquinamento da parte dell’idea di isolamento, d’estraneità dolente e sconfitta. Non scomodando poderosi saggi né – mi mancano le forze – essere io artefice di poderose riflessioni. Pensavo a che altro potesse divenire oggetto del prossimo articolo, quando ricevo una telefonata da Luciana. (Ha insegnato nel medesimo liceo dove ho trascorso gli ultimi vent’anni da professore. Una delle poche ‘colleghe’ con cui ho scambiato un saluto, qualche parola in sala professori, luogo dove cercavo di ‘coabitare’ il meno possibile. E suo tramite, il figlio Marco ha preparato le copertine di alcuni miei libri). Mi chiede dei chiarimenti su La Nausea di Jean-Paul Sartre, il romanzo che lo rese celebre (edito nel 1938) e lo introdusse nel mondo dell’Esistenzialismo. E così non abbandono o non mi allontano dall’argomentare che mi preme.
Ricordate E venne Valle Giulia? Sotto un lampione, nella cinta dei pantaloni, preda di guerra, il martello sul manico incisi la falce e il martello, in attesa dello scontro, ad ammazzare la tensione sigarette senza filtro e il libro di Sartre. Del Sartre che rende omaggio al grande genio Louis Ferdinand Cèline (prima di un Sartre decaduto da vecchia checca servile e indecente agli allettamenti di una sinistra onnivora) tanto da apporre una sua affermazione: ‘E’ un giovane senza importanza collettiva, è soltanto un individuo’. Rileggo qua e là qualche frase, presa a caso, dall’edizione in mio possesso, ad esempio: ‘… La Nausea non m’ha lasciato e non credo che mi lascerà tanto presto; ma non la subisco più, non è più una malattia né un accesso passeggero: sono io stesso’. E, in un testo di maggiore pregnanza filosofica, ‘Cosa sono le mie mani? L’incommensurabile distanza fra me e le cose’. Rimango convinto che quel senso di essere altro, di estraneità è stato reso più efficace e coinvolgente, però, da Albert Camus con Lo straniero (1942). Perché scrive nelle ultime righe ‘… mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo’. Cerco di spiegarle la differenza, quel rovesciamento tra ‘Essere’ ed ‘esistere’, una libertà ove ‘posso essere racchiuso in un guscio di noce e sentirmi un re nello spazio’ (credo sia Shakespeare) o, al contrario, l’inquietudine di trovarsi gettato a caso nel mondo (Heidegger e la Geworfenheit, di cui fa critica Evola in Cavalcare la tigre) e dove non c’è risposta all’eterno domandarsi del perché ’hic et nunc’, quel da dove veniamo e dove siamo condotti… Ciò che qui mi conta non tanto come La Nausea e lo Straniero non rimandano – affascinante, ma pur sempre cocente disfatta – a quella solitudine che sta nella grandezza di un Degrelle e su quella ‘prima solitudine che deve essere solidificata la felicità’, come scriveva ne I sette colori Robert Brasillach. La ricerca e la possibilità d’essere felici sono la trama che muove e il medesimo uomo e lo scrittore. E’ un obbligo, non un privilegio. Un obbligo se non vogliamo essere condannati alla sconfitta di fronte alla nostra stessa esistenza. La felicità è nel saperla cogliere ovunque, scorgerla intorno, farsi uno con essa. Possibile perché è in noi e sta a noi suscitarla, proteggerla e ad essa affidarci. Di questa lezione vorremmo che tutti ci ponessimo all’ascolto contro il falsificante luccichio e la vuota disperazione del presente. Grazie a Degrelle; grazie a Robert, fratello a me caro. ‘Ancora un istante di felicità… – trattieni il tempo, la sabbia, il passerotto dal piumaggio – morbido e arruffato tra le tue mani sicure, le tue mani d’angelo. – Ancora un istante di felicità… – Il sole scivola sull’acqua e fugge tra il fogliame, – ancora un istante per te solo, – in attesa della notte’.
Immagine: http://agenziares.it