L’amico francese

 

L’amico francese

L’amico francese   

Ovvero

La ballata delle tetes de bite

Nel linguaggio cifrato con cui gli eventi e i personaggi storici si raccontano all’osservatore che è uscito indenne dal guado del pregiudizio, Asterix – quello del fumetto apparso nel ’59 in Francia e poi diffusosi rapidamente in quasi tutto il mondo – descrive mirabilmente l’atteggiamento dei transalpini verso ciò che è italiano, ancorché tragga tale qualità dal lascito del passato remoto.

L’idea che i Romani possano aver portato la civiltà dove ancora sussiste l’avversione al bidet, ha sconvolto a tal punto i nostri vicini di casa da averli indotti a compiere sul trapezio della narrazione storica un portentoso salto carpiato all’indietro con avvitamento laterale pur di sminuire le verità contenute nel ‘De Bello gallico’, scritto da un grande giornalista come Giulio Cesare.

‘Vicini di casa’ non significa andare d’amore e d’accordo. L’ambientazione dei peggiori delitti è quella, infatti, di un pianerottolo: ne sa qualcosa la polizia scientifica che repertava nel dicembre del 2006 gli ideogrammi di sangue impressi sul pavimento e sui muri dalla strage di Erba.  La gelosia non ha alcun ritegno quando il soggetto e l’oggetto sono troppo vicini per assorbire la forza cinetica di questo temibile sentimento: solo che la parte della strega cattiva e quella di Biancaneve qui non sono mutuabili – una volta una, una volta l’altra – come parrebbe naturale in un contesto, il quadro delle relazioni internazionali, che cambia aspetto di continuo, come un caleidoscopio.

Il foglio matricolare dei rapporti tra Francia e Italia non lascia dubbi al riguardo. Rinuncio a partire dalle prime pagine per cominciare da quelle di mezzo, dalla seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria, alla quale i Francesi parteciparono col proposito di transennare gli Asburgo, ma si fecero pagare profumatamente incamerando Nizza e la Savoia: amore a pagamento, la chiamavano bocca di rosa.

Non si fecero pagare, invece, i garibaldini che accorsero in difesa della Francia brutalizzata dai prussiani nel gennaio del 1871, riportando a Digione l’unica vittoria di una campagna d’arme disastrosa, che culminò con la cattura dell’Imperatore a Sedan. Nelle elezioni tenute successivamente all’avvento della Repubblica, Garibaldi fu eletto deputato all’Assemblea Nazionale ma ne fu cacciato con l’accusa di essere ‘un filibustiere italiano’, quasi in contemporanea con i ‘Vespri Nizzardi’, come fu chiamata la rivolta popolare – poi stroncata dall’intervento dell’esercito – degli italiani che volevano tornare sotto la Madrepatria e sfuggire alla pulizia etnica decretata contro di loro dal Governo francese.

Non vollero compensi neppure i garibaldini che nel 1914 partirono per dar man forte ai Francesi impegnati a bloccare l’avanzata dei crucchi verso Parigi, forse dimentichi degli italiani massacrati nell’agosto del 1893 nelle saline di Aigues Mortes ‘perché rubavano il pane’ ai lavoratori del posto: la magistratura fu di manica larga, come se non fosse successo niente, ordinaria amministrazione.

La ‘pugnalata alle spalle’ subita per mano dell’Italia fascista nel ’40, altro non fu che un semplice atto politico, compiuto in presenza di una situazione irrimediabilmente compromessa per i Francesi, e caratterizzata – trattandosi di una guerra – di implicazioni militari di infimo cabotaggio: lo spostamento di alcune divisioni oltrefrontiera; l’ordine di risparmiare, per quanto fosse possibile, lutti e disagi alla popolazione civile; l’occupazione di una porzione irrilevante del territorio francese, quel poco che sarebbe bastato per acquisire, con l’Europa in ginocchio, il diritto di sedersi da vincitori al tavolo della pace, senza, peraltro, precludersi la possibilità di tirare la giacca ad Hitler qualora questi avesse ecceduto nell’imporre le sue condizioni ai vinti (è lo scenario ipotizzato da quanti giurano sull’esistenza da qualche parte del carteggio Churchill – Mussolini, fatto sparire a Dongo).  Come contropartita di tutte queste premure, il generale Alphonse Juin, comparso nel maggio del 1944 alla testa dei suoi ‘goumiers’, nel Lazio meridionale, dopo lo sfondamento della linea Gustav da parte degli Alleati, autorizzò i propri sottoposti a liberarsi di qualsiasi inibizione, sapendo benissimo che non ne avevano, e a sfogarsi su chiunque, donna, vecchio o bambino, avessero incontrato sulla loro strada. Furono migliaia le vittime di quelle che una storiografia taroccata e fallace definisce ‘marocchinate’: qualcosa che assomiglia, nel suono, a ‘birichinate’, ma erano donne ridotte a cose dalla soldataglia spietata, i minori obbligati ad assistere e a subire il trattamento delle madri, i vecchi sodomizzati, le case saccheggiate ed incendiate, Gomorra.

Avanti: ottobre1962. Sospetto di matrice francese (lo SDECE) nell’attentato che toglie di mezzo Enrico Mattei, a saldo delle simpatie che il grande capo dell’ENI aveva più volte manifestato nei confronti dei patrioti del FLN, ma anche in risposta alle politiche espansive del gruppo italiano che minacciava gli interessi dei petrolieri francesi rappresentati dalla ‘Total’.

Ne giugno dell”80 un missile abbatté il DC9 dell’Itavia sulla verticale di Ustica. La tesi  prevalente è che l’aereo civile si fosse trovato accidentalmente sulla linea del fuoco durante uno scontro tra apparecchi NATO e un caccia libico, e che fossero stati i francesi  a lanciare il missile da un apparecchio levatosi in volo dalla portaerei ‘Foch’ : tale versione dei fatti sarebbe stata, nel 2007, accreditata da Cossiga, ma le certezze si riducono a zero nel groviglio dei dubbi che sono sopravvissuti a cento istruttorie, e ciò che rimane, come l’impronta del calore sui ruderi di Hiroshima, é il sospetto che i francesi abbiano preso parte, col loro incommensurabile cinismo, allo ‘schiaffo del soldato’ nascondendosi – il dito alzato – dietro tutti gli altri protagonisti di questa orribile sceneggiata, per turlupinare la magistratura italiana.

La serie non era finita. Nella puntata che l’avrebbe chiusa il 20 ottobre del 2011, con la morte di uno degli attori principali, Gheddafi, riapparvero i francesi , a bordo dei loro aerei, ai quali il presidente della Repubblica italiana, Napolitano (famoso  per riuscire sempre a trovarsi nella posizione sbagliata a far data dal ’56, i carri armati sovietici che  entravano a Budapest), e il suo fido attendente, il ‘patriota’ Berlusconi, che si era specializzato nell’arte del baciamano, avevano concesso l’uso degli aeroporti in Sicilia.  L’Italia, abboccando (o fingendo di abboccare) all’amo delle ‘primavere arabe’ che erano state architettate dalla regia americana, con la preziosa consulenza dei servizi alleati, si mise sulla scia del presidente francese, Nicolas Sarkozy, che in Gheddafi vedeva non solo il pericolo di essere ricordato da lui per i tanti soldi presi sottobanco nella scalata all’Eliseo, ma anche il partner privilegiato dell’Italia in molti affari che  includevano pleonasticamente il petrolio e gli equilibri traballanti del Mediterraneo  centro-meridionale, rispetto ai quali Parigi era in competizione con Roma.

Non si è trattato ‘tout court’ di un errore: ci sono da monitorare tutti quei fattori che determinano l’accondiscendenza di una larga parte del nostro ceto politico verso i Francesi, atteso che è materia abbondante anche per gli psichiatri la loro  corrività a ridere dei nostri affanni e delle nostre disgrazie (vedi ‘Charles Hebdo’ nei numeri in cui si occupavano della valanga di Rigopiano e del terremoto nell’Italia centrale del 2016, il ripieno delle lasagne fatto di membra sanguinolente schiacciate dalle macerie) assai più che a piangere per le proprie, e che troppi Italiani, nonostante tutto, (a cominciare dalla Pinotti, l’ex ministro della Difesa, per finire all’ineffabile Letta, che sta bene a Parigi) si compiacciono di aver ricevuto la ‘Legion d’Onore’, una patacca che i Francesi,  documentatamente così poco affettuosi  nei nostri confronti, e così taccagni, non danno mai gratis.

Ora che il signor Mattarella, alla vigilia dello sfratto dal Quirinale, con le scatole di cartone già pronte nel corridoio, ha firmato il ‘Trattato del Presidente’, che comporta, a detta del suo entourage un cospicuo miglioramento dei rapporti tra i due Paesi, c’è tanto lavoro da fare anche per un magistrato che volesse guardarci dentro – nel pacco, eventualmente nascondesse un paccotto – e per capire chi sono le vere ‘tetes de bite’: se noi, intesi come Italiani, o loro, intesi come Francesi.

 

Immagine: https://www.ecodibergamo.it/

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