Scuola di Pensiero Forte [117]: l’evoluzione politica dello Stato [10]


 

Scuola di Pensiero Forte [117]: l’evoluzione politica dello Stato [10]

Il Novecento ha visto il compimento di forme politiche di carattere totalitario, che prendono il nome di totalitarismi per indicare la presenza totale, appunto, dello Stato nella vita dell’individuo e come matrice della società. Niente di nuovo, se seguiamo la trattazione svolta fin qui: in epoca moderna lo Stato è il cuore della politica.  Max Weber definisce lo Stato come quella comunità umana, che nei limiti di un determinato territorio esige per sé il monopolio della forza fisica legittima[1], ed è una definizione che riconduce ai suoi elementi strutturali piuttosto che ad una particolare attività ovvero la triade “popolo, territorio, sovranità”.

La sua affermazione corrisponde all’esito convergente di tre dinamiche, che storicamente si dipanano nel giro di circa tre secoli:

– La prima di tipo socioeconomico: l’incontro tra gli interessi dei latifondisti e gli interessi dei produttori e dei commercianti urbani non poteva che avvenire in un territorio sufficientemente vasto da rappresentare un mercato interessante e aperto, senza i limiti dell’economia chiusa del feudo;

– La seconda di tipo culturale e ideologico: le guerre di religione che attraversano l’Europa mettono fine al cemento culturale del cattolicesimo. Così, mentre le confessioni protestanti sono usate per legittimare le rivendicazioni d’autonomia dei principi del nord e centro Europa e la chiesa anglicana è edificata al servizio della monarchia inglese, la chiesa cattolica resta essenzialmente la fonte identitaria dei regni che devono sostenere lo scontro con l’impero ottomano;

– La terza è di tipo politico: la supremazia dello Stato e l’autonomia della politica si impongono rispetto alla grande feudalità, alla Chiesa e alle libere città grazie ad un progressivo processo di espropriazione e di concentrazione dei poteri.

La “nuova istituzione politica” che cresce in Europa si trova presto ad affrontare due questioni cruciali. La prima è relativa al passaggio da un sistema di poteri di tipo personale e patrimoniale ad un sistema di poteri a fondamento pubblico e impersonale. Per l’amministrazione si tratta di passare ad un corpo di funzionari politici che lentamente andrà a sostituire la vecchia nobiltà di terra o di ceto. Gli aiutanti del re non saranno più gli aristocratici, ma i weberiani “politici di professione”, ovvero i chierici, i letterati, gli avvocati e i giornalisti dediti alla politica. La seconda questione riguarda il tipo di reggimento dello Stato: nel regime assolutistico, la sovrapposizione tra persona del re, patrimonio e funzione politica consente il mantenimento del vecchio istituto giuridico del gubernaculum, secondo il quale il re non è soggetto alla legge, ma è già alle porte il sistema della iurisdictio, per cui anche il re, come tutti i comuni mortali, dovrà assoggettarsi alla legge.

La centralizzazione e la monopolizzazione dei mezzi di potere su un ampio territorio introduce una distinzione tra “dentro” e “fuori” i confini nazionali, che col tempo si tradurrà nell’adozione di una logica politica per i rapporti interni – come il processo di inclusione dei soggetti un tempo esclusi dalla sfera del potere politico – e di una logica basata sulla forza (prima che sulla diplomazia) nei rapporti internazionali. Dal punto di vista psicologico-culturale, la rottura dell’Umanesimo e del Rinascimento rispetto al Medioevo comporta anche la ridefinizione delle unità sociali elementari tramite il rilancio dell’io individuale rispetto alla categoria del noi (famiglia, clan, ceto) fino ad allora dominante. L’affermazione dello Stato assoluto, salvo alcune prerogative dei nobili, traduce tutte le categorie culturali e sociologiche nell’unica categoria dei sudditi, prima, e di cittadino con la modernità. La cittadinanza viene concepita come uno status conferito attraverso la conquista ed il riconoscimento di tre tipi di diritti/doveri, quelli civili, politici e sociali. In tale direzione, lo sviluppo della politica “dal basso” si configura come un gioco di dare e avere. I diritti civili di cittadinanza, la cui prima affermazione si trova nella Bill of Rights che pone fine in Inghilterra alla seconda rivoluzione, nascono come scambio tra, da un lato, la rinuncia dei soggetti privati all’uso delle armi e alla prassi di farsi giustizia da sé (con l’accettazione di fatto della sovranità dello Stato) e, dall’altro, il riconoscimento da parte del sovrano dei diritti di ogni singolo all’integrità della persona, del domicilio e della corrispondenza, alla libertà di movimento e di opinione, alla proprietà privata.  

Nell’excursus, al riconoscimento dei diritti civili di cittadinanza segue quello dei diritti politici: “no representation without taxation” in altre parole solo chi ha risorse proprie per pagare le imposte è legittimato di godere dei diritti politici di rappresentanza, ovvero il potere di decidere quanti e quali tributi imporre. È l’origine del suffragio elettorale ristretto su base di censo.

La situazione varia da paese a paese, ma la successione è tendenzialmente uguale ovunque: riconoscimento del diritto di voto ai soli uomini adulti con reddito tassabile, suffragio universale prima solo maschile e poi anche femminile, abbassamento del limite dell’età adulta, soluzioni differenziate per l’inclusione dei non cittadini (stranieri e immigrati). Se nel caso dei diritti civili il rispetto dell’integrità fisica e della libertà diventa un fatto reale solo nel momento in cui esso è garantito dal comportamento congruente delle magistrature e delle forze dell’ordine, per quanto riguarda i diritti politici si può parlare di riconoscimento completo ed effettivo solo quando l’elettorato viene esercitato in elezioni libere, pluralistiche e ricorrenti. Il quadro delle garanzie dall’alto si completa con il principio della separazione dei poteri, con il quale si assicura che le tre funzioni (legislativa, esecutiva e giudiziaria) siano affidate ad organi diversi e separati, ciascuno dei quali non prevarichi sugli altri.

I diritti sociali di cittadinanza si hanno, storicamente, in Europa tra gli ultimi vent’anni dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. L’assistenza sociale ha una lunga tradizione di soggetti intervenienti, e presentano due grandi limiti: non rispettano la dignità e l’autonomia dei soggetti destinatari dei soccorsi e il più delle volte risultano occasionali e non sistematici. La situazione si aggrava con l’avvento della rivoluzione industriale in Europa quando, per far fronte a queste ingiustizie, gli operai stessi si organizzano in società di mutuo soccorso e allargano i loro incontri a tematiche politiche più generali. Nel decennio successivo questi gruppi si fanno promotori di provvedimenti assistenziali e di tutela del lavoro, che variano dall’assistenza per le malattie e gli infortuni alle pensioni di anzianità. Sia pure in forma di scambio (lo Stato assicura la copertura sociale ai lavoratori e alle imprese che versano contributi ad hoc), si tratta del primo nucleo organico riconosciuto di diritti[2] sociali di cittadinanza.

Una volta che si è verificato il passaggio dallo Stato assolutistico allo Stato costituzionale, l’identificazione del tipo di reggimento politico è determinata dal tipo di diritti riconosciuti, dalle garanzie previste nell’organizzazione dei pubblici poteri e dal grado di inclusione dei soggetti sociali; l’attestarsi dello Stato liberale avviene con il riconoscimento pieno e garantito dei diritti civili di cittadinanza. Lo Stato democratico prende piede solo quando si estendono i diritti politici di cittadinanza e il principio della separazione dei poteri. Nel momento in cui entrano in gioco i diritti sociali di cittadinanza, gli stati che se ne fanno carico assumono la connotazione di Stato liberale e social-democratico, ovvero Stato sociale.

È così che il Novecento inaugura la lunga stagione dei “diritti umani”, argomento centrale in tutta la riflessione e l’azione politica.

 

[1] Cfr. Max Weber, Sociologia del potere, PGreco, Roma 2014, Cap. I.

[2] Nell’odierno dibattito politico-giuridico ci si sta avviando verso il riconoscimento di diritti di quarta generazione, relativi alla tutela dell’ambiente e degli animali.

 

Immagine: https://www.osservatore.ch/

 

 

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