L’età rispolvera frammenti dal baule, grembiule blu, calzoni corti, banchi di legno neri, buco rammendato ai calzini, maestra unica con alito al caffè, ecco la Storia (che p…e!) pagine del sussidiario illustrate, vedere è ricordare, m’affascinava solo il Risorgimento con quelle immagini di eroi, barricate, scontri, battaglie, chiari i nemici e l’ideale, la Patria, a ben ricordare lei resisteva solo a scuola in quegli anni ‘50.
La fanciulla turrita dalla muliebre bellezza mediterranea aveva quattro padri putativi, Re Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi, eroe dei due mondi, il tessitor sottile Camillo Benso, conte di Cavour e quel repubblicano di Giuseppe Mazzini fondatore della Giovine Italia.
I loro ritratti campeggiavano su quelle pagine scarabocchiate trasmettendoci volontà e azioni assunti a mito d’indipendenza e unità d’ un Paese, da secoli, vestito da Arlecchino al quale avevano fatto dono d’ un completo (tunica, camicia, stola) da nobile matrona romana con i colori della nostra bandiera.
Archiviato il trapasso di Dante in quel di Ravenna, il 10 marzo si celebrerà un’altra morte, quella di Mazzini, figura controversa, dicono i contendenti partigiani, tra rosso e nero, pensatore e rivoluzionario inattuale, nei decenni sprofondato nell’oblio al pari del “Re galantuomo” colpito dalla scomunica repubblicana di casa Savoia, di Garibaldi scomparso da sopra le pareti delle case, di Cavour del quale intrigano soltanto i suoi piccanti amori.
La Repubblica c’è dal ‘46 perciò? fuori dalla banalità commemorativa repubblicana, quale fetta del pensiero mazziniano può essere benzina oggi per un’impennata ribelle a questa nostra sgangherata quotidianità italica se non lavorare duramente a riempire quel vuoto che ci portiamo dentro da individui e collettività, la fiera appartenenza alla nostra Patria.
In una delle sue ultime epistole Niccolò Machiavelli scriveva: “Amo la mia patria più della mia anima”, era la sua Firenze ma non solo, il sogno andava ben oltre i confini medicei abbracciando, in continuità, quell’Italia “Europae regio nobilissima”, con sede a Roma della Monarchia universale vagheggiata da padre Dante nel De Monarchia. Nel libretto Doveri dell’uomo edito nel 1860 Giuseppe Mazzini al Capo 5 scriveva agli italiani prossimi all’unità: “Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto,né diritti, né battesimo di fratelli tra i popoli. Siete bastardi dell’Umanità.” e ancora (attualissimo): “dove non è Patria, non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo l’egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, giacché non vi è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l’idea di migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale […]”.
L’Italia di adesso è uno sciame impazzito di apolidi, senza un favo comune per il quale lavorare con tenace vigore e unità condivisa di intenti, siamo (non sembriamo) gusci dell’io vaganti in cerca di continui diritti, inciuci personali, miseri guadagni, effimera visibilità, specchio di vanità, riecheggia la stonata prova d’orchestra dell’omonimo, bellissimo “filmetto” di Federico Fellini.
Abbiamo una società malata di infantilismo, chiede, frigna, si lamenta non per il bene comune ma per essere appagata nei desiderata di ciascuno, scansa i doveri delegandoli allo Stato, la fratellanza e la solidarietà che si respirano sono le stesse di un’infuocata riunione di condominio e presunti leader che riportino ordine nell’orchestra non ce ne sono perché sono come noi apolidi di Patria.
Chi legge con malizia penserà a una mia affiliazione di partito, beh a costoro rispondo, leggete quel libretto di Mazzini (non vi ruberà molto tempo) c’è veramente tanto, esposto con lucida passione, dall’ormai innominabile Dio, al lavoro, alla giustizia sociale, all’Umanesimo, all’Europa federazione di libere Nazioni, ecc. Scoprirete l’attualità del pensiero di un “contemporaneo della posterità” è un lascito prezioso in tempi duri di pandemia virale ma soprattutto civile.
Il nostro odierno concetto di Patria, non è più quello di terra dei padri, che educa alla lotta – oltre che al rispetto -, che insegna le virtù del coraggio e del vigore, della volontà, del sacrificio, che richiede anche obbedienza e pretende la volontà di imparare ad accordare desideri e slanci personali, in armonia con quelli della collettività nazionale, in nome di un benessere sociale fortificato dalla naturale propensione, di ogni individuo, a fraternizzare primariamente con chi condivide la sua stessa identità – poi, di conseguenza, con il resto dell’umanità. Oggi, invece, desideriamo un modello di Patria esclusivamente protettivo, che non richiede sforzi, che educa sostanzialmente all’infantilismo, alla non-virtú perché tutto concede, senza nulla chiedere in cambio; un modello che premia sempre la competizione a discapito della collaborazione, che distrugge l’identità nazionale a favore di una non-identità globale, che non forgia più uomini e donne fieri della propria identità, ma monadi estraniate, che si identificano con l’altro solo per stimolo indotto, per artificio e non per intima natura. Questa identità individuale non mira più ad armonizzare il singolo alla sua comunità, quanto piuttosto ad alienarlo dalla società stessa, così da renderlo perfettamente plasmabile, completamente volubile.
Immagine: Silvestro Lega, Mazzini morente, olio su tela, 1873