La nascita di un capo

 

La nascita di un capo

Il 31 marzo del 1994, all’ospedale di Malaga, muore a 87 anni Léon Degrelle. Al suo capezzale, fra i primi, accorre da Madrid José Luis, suo avvocato, amico e camerata. Poi le ceneri saranno disperse, rispettando le sue volontà, parte là dove era nato, a Bouillon in Belgio, e parte sull’Obersalzberg là dove il Fuehrer aveva edificato ‘il nido dell’aquila’. Conservo fotografia dei suoi ultimi anni, sul terrazzo della sua abitazione in Spagna, al collo la massima decorazione quale combattente sul fronte dell’Est, e la dedica di suo pugno a Raffaele La Serra, già ufficiale del btg. guastatori Valanga della X MAS, che me ne fece dono. Negli anni Sessanta, trovandomi a Barcellona, venni a sapere come egli si trovasse di passaggio a Madrid e che, se mi fossi affrettato, mi sarebbe stato presentato – credo – proprio da José Luis, allora giovane intellettuale e prossimo a noi italiani che, a vario titolo, sceglievamo ‘le strade brulle e rosse della nostra Spagna’, secondo la felice espressione di Robert Brasillach. Per vari motivi – ne ho scritto in Strade d’Europa – mi attardai e giunsi a Madrid troppo tardi. Me ne rammarico tuttora. E, ripensando alle tante occasioni mancate lungo il corso di una vita, mi sento come un cieco in cammino – chissà dove e perché – che avverte tutto il calore di fiaccole accese lungo il percorso ma non ne coglie la luminosità. Quel treno lanciato a folle corsa nella notte senza conoscerne la destinazione, come ho letto da qualche parte..

Léon Degrelle, testimone attivo di un secolo – almeno, la sua prima metà – in cui gli ideali i sogni anche le illusioni e i troppi inganni erano carne viva sangue vivo e occhi che guardavano lontano e mani protese a costruire e il passo dei conquistatori, fra le rovine e ricorrenti tragedie forse. In questo mese prossimo a venire – il 6 febbraio è il ricorrente anniversario del poeta fucilato al forte di Montrouge, il ‘mio’ fratello più caro – il Cinabro Edizioni riproporrà appunto Léon Degrelle e l’avvenire di Rex, frutto degli incontri avuti da Robert Brasillach nel 1936 con l’emergente e giovane Capo del rexismo belga. La nascita di un Capo, lo si potrebbe intitolare. L’incontro della penna e della spada, mediando Mishima Yukio. Una lettura che si possa considerare quasi premessa profetica. Il palo dei condannati a morte ove la penna divenne la grossa goccia di sangue raccolta su un foglio dal suo avvocato per coloro che l’amavano; la Spagna e l’esilio di una esistenza ove la spada spezzata del vinto mai domo si rese parola a cui nutrire la nostra fierezza e la speranza nella stagione lunga e grigia della vergogna della ‘nostra’ Europa. Una lettura, dunque, che è un dono sacro, un patto a cui restare fedeli. Ne riparleremo anche e perché, avendone scritto le due prefazioni l’una a distanza dell’altra di venticinque anni, lo sento un po’ ‘mio’…

Ricordate quanto scriveva ‘Lawrence d’Arabia’ ne I sette pilastri della saggezza? Che tutti gli uomini sognano ma, mentre coloro che si risvegliano avvertono la fragilità dei propri sogni, vi sono coloro che sognano ad occhi aperti e costoro sono uomini pericolosi perché intendono realizzarli. Ebbene, se la pandemia dello spirito vuole imporre un gregge beota e belante di atomi, dalla finestra della mia stanza – dalla finestra d’ognuno di noi – il sole va tramontando ed è premessa e promessa di una aurora a venire. E’ il momento, lo vivificava Platone nelle Leggi, in cui edifichiamo i nostri sogni più audaci.  

Immagine: https://antonioportobello.files.wordpress.com                                                          

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