Tutto si tiene, maledettamente

 

Tutto si tiene, maledettamente

Ho avuto dei brividi nel sentir gorgheggiare due uccellini sul palcoscenico di Sanremo – il mozzicone superstite della cultura nazionalpopolare del mio amato paese – e nell’accorgermi (un indizio di sordità?) di essere incapace di distinguere le parole, salvo poi scoprire che per soddisfare la mia curiosità sarei dovuto andare, come hanno fatto tutti, su google. Il significante e il significato che si separano, tu di qua e io di là, come Franco Volpi e Roberto Benigni in una delle scene capitali di ‘Johnny Stecchino’. Libertà. Libertà. Un pò come se, nel redigere questo pezzo, io facessi a meno delle parole e lo inseminassi di punti, virgole e punti esclamativi. Il contenuto, in definitiva non é la cosa più importante. Come non lo erano le canzoni a Sanremo: solo un pretesto per celebrare  il dramma degli immigrati col cagnolino sulle ginocchia e con lo smartphone incollato all’orecchio , e per farci presente che il nostro primo peccato é stato quello di nascere italiani, eterosessuali e bianchi, il massimo del minimo.

A ridosso del festival diversi studenti in corteo attraversavano le città protestando per il ripristino, agli esami dell’ultimo anno, delle prove scritte, compresa quella di italiano. E’ pur vero che la frequentazione del web, con tutta quella  profusione di faccette e di formule sincopate, ha di fatto determinato l’atrofia della lingua che é stata di Dante prima ancora che di Sciascia o Calvino,  ma é altrettanto vero che si può e si deve ritornare indietro, per recuperare la quintessenza del nostro patrimonio identitario divorata dal mondialismo, e che i vostri predecessori, benedetti figlioli, che oggi vi esortano a ruotare sui tacchi,  fecero molto male, a se stessi e al paese, nel reclamare, col ‘6’ e col ’18’ politico, la scuola facile. Li accontentarono; e da allora, la scuola di massa, divenuta massa di scuola, ha sospinto sempre più in basso il know-how degli italiani, che da professori si sono trasformati in bidelli e da impresari in maestranze. Ma é proprio questo l’obiettivo ultimo delle elite, che qui in Italia ha come interfaccia elettorale il pd: una distesa a perdita d’occhio di persone inadeguate, di esserini maneggevoli che dicono sempre di sì, o di no, obbedendo agli impulsi subliminali del potere, e l’abrogazione del ‘merito’, che é l’unico mezzo rimasto – ancora per poco –  a disposizione dei sottoposti per cercare almeno di calmierarlo.       

Nel giorno in cui i parlamentari si riunivano per inneggiare alla conservazione dello stipendio, che si sarebbero assicurati sino al termine di questa legislatura, Mattarella, per giustificare la duplicazione del mandato (per la quale – ma no! suvvia! ci mancherebbe! – aveva perentoriamente affermato che non si sarebbe reso disponibile, non foss’altro che per una forma di riguardo verso la vigente Costituzione), faceva presente che si era assunto l’onere della riconferma (che dolore! sapeste che dolore!) con la speranza di poter essere d’aiuto ad ‘un Paese diviso’. Il fatto é che lo aveva lasciato ‘unito’ nel momento in cui si congedava dagli Italiani a conclusione del’atto primo, e la metamorfosi, da così a così, era avvenuta durante la pubblicità, giusto il tempo di sigillare col nastro adesivo l’ultimo scatolone con i piatti di porcellana, e quello occorso ai cavalli dei corazzieri per rilasciare i loro ricordini lungo una parte del percorso fissato dal protocollo per i conquistatori del Quirinale. Il tutto condito dalle solite menate sulla giustizia, sui poveri migranti, sul futuro opaco dei giovani, che si erano già sentite sette anni fa: deve esserci una macchinetta o un programma da qualche parte che recupera e rielabora  il discorso numero ‘zero’, quello destinato ai presidenti e ai bergogli, e che fa sembrare  nuovi  gli argomenti più vecchi, basta girare una manovella, come con ‘Enigma’ o inserire la password, che fa tutto da sé.

Il ‘piano Solo’, la notte di Tora Tora, l’irruzione di Tejero, pistola in pugno, nell’anfiteatro delle Cortes spagnole, mentre i deputati, sbigottiti, sparivano dietro i banchi, sono roba d’antiquariato. I golpe non si fanno più così, tutto in una volta. Vanno travisati e centellinati. Impedendo, ad esempio, all’elettorato di ritornare alle urne e prorogando alle calende greche l’agonia di una legislatura decotta con tubicini e pompette, perché c’é Draghi, il proconsole di Bruxelles destinato alla provincia di Roma, giusto per ribadire che ‘poteri economici sovrannazionali…’, proprio quelli di cui l’UE é un’emanazione diretta, “… tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico”.

Anche la faccia tosta, quindi, rientra tra gli ingredienti del golpe suddiviso in tante piccole rate, come l’atto di sobillare, da dietro le quinte, gli studenti perché facciano harakiri, o come il festival di Sanremo che brevetta l’avatar di Joseph Goebbels, non più la raucedine del gerarca ingrifato, ma i soffici sospiri di un presentatore di canzoni. Non più le insegne che nuotano nel vento anticipando la tempesta, ma un trionfo di colori e di fiori. Giustizia, i poveri migranti, il futuro opaco dei giovani, gnigni’ e gnegné.

 Ci si é messo anche Bergoglio, il papa ruspante, scarso in Dottrina (come lo é d’altronde un certo Di Maio, il ministro degli Esteri,  in Geografia e Storia: un segno dei tempi)  che la mafia di San Gallo ha schierato sul campo al posto di Benedetto XVI, dopo aver realizzato che il tedesco non si adattava al nuovo sistema di gioco introdotto dal Vaticano e ostacolava l’evoluzione della Chiesa: non più le faticose arrampicate sulla verticale della Fede che talvolta si pagano con la vita (vedi le centinaia di cristiani macellati in certe zone dell’Asia e dell’Africa reclamate dall’Islam) ma l’adattamento alla   piega presa dal secolo , contaminato dal consumismo, una Chiesa moderna, più agile, più facile, più leggera, più terra terra.

Cioé, sotto terra.

Ora, mi pare un azzardo sostenere che la manfrina montata per congelare Mattarella all’interno del Quirinale, gli slogans emessi dalla brutta copia del Movimento studentesco (quello del ’68, che scriveva sui muri di voler meno lavoro in cambio di più salario, una gigantesca stronzata), l’elogio della resa incondizionata che si é udito, tra una canzone e l’altra, al festival di Sanremo, e la performance (tatata’….) di Bergoglio negli studi televisivi di ‘Che tempo che fa’, siano degli episodi isolati, e non invece, una concatenazione: per l’appunto, il golpe che viene dispensato, un pezzo oggi, l’altro tra sette giorni, un pò come i modellini delle navi e degli aerei che vanno in edicola. Solo che adesso, a differenza del passato, i segnali arrivano meno sgranati, talvolta tutti insieme, come quando le bollicine entrano nel collo della bottiglia e quando si é così vicini ad un nuovo inizio che anche il tempo si deforma assumendo un’andatura precipite.

Ah, mi avvertono che la signora Lamorgese, nel parlare dei fatti di  Capodanno a Milano, ha detto che si é trattato di un’imboscata tesa alle donne che circolavano da sole da parte di ‘cittadini italiani di nascita’, vale a dire di figli di immigrati che ‘soffrono di disagio sociale’.

Mi dicono dalla regia che non debbo sentirmi obbligato ad integrare l’articolo. Meno male. Non riesco a scrivere se sono troppo incazzato. Quindi, chiudo. Alla prossima.                                                                                            

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