L’Archipatriota

 

L’Archipatriota

Morire a ventott’ anni con una pallottola in fronte, Ratatata della mitraglia austriaca, il sottotenente Antonio Sant’Elia, polena della brigata Arezzo sulle alture di Monfalcone a quota 85, trovò la bella morte futurista. “Alla testa del plotone zappatori, si slanciava all’assalto delle posizioni nemiche sotto l’imperversare del fuoco di artiglieria, di mitragliatrici e di fucileria, incitando con l’esempio e con la voce i suoi dipendenti, finché cadeva mortalmente colpito in fronte. Monfalcone, 10 ottobre 1916”, così recitava la motivazione della seconda Medaglia d’Argento conferitagli al valor militare, la prima fu per l’intrepido attacco sul Monte Zerbio, nel luglio del ‘16.

Il 24 maggio del 1915 s’era arruolato volontario nel Regio Esercito, lasciando a riposo sul tavolo da disegno squadre e matite per imbracciare il moschetto, seguendo l’esempio di quei matti futuristi in gran pare inquadrati nel Battaglione lombardo dei VCA (Volontari Ciclisti Automobilisti), ai proclami interventisti si doveva dar seguito con l’azione, tirar fuori gli attributi (rarità in Italia) “per marciare e non marcire nelle biblioteche e nelle sale di lettura”.

Quel battaglione voleva essere avanguardia dinamica nel teatro bellico, ma la guerra sarà di trincea, infatti dopo la vittoria al Dosso Casina (sopra il Garda), 8 giorni sotto il fuoco nemico col freddo “passatista” come lo definì Marinetti, il VCA fu sciolto, a dicembre si tornò tutti a casa.

Ma il comasco Antonio vuole “il piacere di tornare al fuoco…perché alle…parole devono subito seguire i pronti, fulminei e decisivi fatti”, appello raccolto, richiamato alle armi col grado di sottotenente, fu inquadrato nella Brigata Arezzo partecipando, sul fronte vicentino, a numerosi assalti costati 700 morti tra giugno-luglio del ‘16, fino all’assalto sul Monte Zerbio, il nostro, ferito, fattosi medicare, riconquistò il fronte di fuoco “dando mirabile esempio di coraggio e serenità”.

Quel 10 ottobre il suo corpo bucato fu tumulato nel cimitero di guerra della Brigata Arezzo a Monfalcone, da lui stesso progettato, poi nel ‘21 i resti troveranno riposo nella città natia, Como, al Cimitero Maggiore, infine il suo nome sarà inciso tra i 650 patrioti comaschi nel sacrario del Monumento ai Caduti progettato dai fratelli Giuseppe e Attilio Terragni fedeli a un disegno acquarellato del ‘14 dello stesso Sant’Elia, un modello proposto da F. T. Marinetti.

Nato il 30 aprile 1888 a Como, babbo figaro, mamma casalinga, vocato, sin da bambino, al disegno come alla pratica sportiva, Antonio conseguì a diciotto anni il diploma di perito edile-capomastro e col “pezzo di carta”, nel ‘07, si trasferì a Milano, “la città che sale” di Umberto Boccioni, dove lavora all’ultimazione del Canale Villoresi e collabora da disegnatore esterno con l’Ufficio Tecnico Comunale. La città di “sant’ambrœs” cattura quel giovanotto di belle speranze, impatta colla frenesia dinamica d’una metropoli moderna al galoppo verso il futuro, fu musa del nascente futurismo, assalto contro la pandemia passatista d’ un Ottocento rarefattosi nel simbolismo eclettico. Non sarà casuale che il Manifesto de l’Architettura Futurista (Lacerba 1’agosto 1914) porti in calce la sua firma.

Anche Sant’Elia coglierà il vento forte del cambiamento, la città elettrica, riponendo il Liberty della Secession viennese dei suoi progetti di case, ville (sua Villa Elisi), villaggi giardino, cimiteri. Il prof. Sant’Elia (docente di disegno all’Accademia di Bologna) vivrà l’adrenalina del nascente Movimento Moderno, autentica profezia sulla metamorfosi della civiltà urbana, testamento d’avanguardia nelle tante tavole disegnate: La città nuova, La centrale elettrica, studi sulla città futurista, vedesi la Stazione di aeroplani e treni ferroviaria con funicolari e ascensori, La nuova stazione di Milano, Caseggiati, ecc.

Socialista in politica ma interventista convinto sull’onda del Futurismo, buttò ingegno e cuore oltre l’ostacolo lasciandosi dietro una carriera certa da archistar (diremmo oggi), lui “il più geniale di tutti i giovani, il più impetuoso” com’ebbe a scrivere l’arch. Giulio Ulisse Arata a commento della prima mostra di architettura promossa dall’associazione degli architetti lombardi” nel ‘14.  

All’arte tutto l’ingegno-Alla Patria tutto l’amore-Donando-Il S. Tenente volontario-Architetto-Antonio Sant’Elia-Passò-Dalla Vita alla Storia.

È l’epitaffio funebre nel clipeo che lo ritrae di profilo sulla lapide del sepolcro, un simbolismo classico, retrò che Antonio di certo avrebbe rigettato.

 

 

 

immagine: www.varesenews.it

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