L’avvocato mi trasmise quell’essere antiamericano, nonno Pietro classe 1879, conservo ancora il resto d’un colpo di mortaio alleato finito sul talamo matrimoniale dei mie nonni quando, nel piccolo paese dove vivevano, c’era un solo tedesco e dicono pure matto, nel mentre su Frascati, l’8 settembre del ‘43, piovevano grappoli di bombe della “liberazione”, oltre seicento i morti civili, una Dresda tuscolana. Eppure il mito americano avrebbe fatto breccia sugli steli della gioventù bruciata, Hollywood, jeans & cowboy, chewing gum, Love me Tender di Elvis, le Mustang di contro alle nostrane scatolette di tonno FIAT. Soffiava fresco quel vento d’oltre atlantico sulle ragnatele di un’Europa imbalsamata nel museo della storia, allora come adesso una statua di cera. l’America era il sogno dai colori sgargianti, la gonna svolazzante di Marilyn, il culturismo, era per noi la trasgressione dell’ape girata verso il cielo dimentica d’essere un’umile operaia. l’America aveva vinto nei cinemini, col rock and roll, le Malboro sciolte nel taschino, la libertà frizzante della Coca Cola, le prime “limonate” nei “lenti” adolescenti.
L’America era il Bene, il volo d’ Icaro oltre le colonne d’Ercole, l’immaginario collettivo di tuffarsi nei dollari fluttuanti, inseguendo echi, sussurri, cartoline di zii e conoscenti partiti per la grande mela, l’America era la voce di Caruso e Frank Sinatra, il fascino ancestrale della terra promessa, le free way in sella all’ Harley, eppure quel semino d’orgoglio tutto italiano germogliava in alcuni già sui banchi di scuola dove Gentile era ancora, nonostante il suo assassinio a Villa di Montalto, il demiurgo della grande Riforma, pugno serrato sulla nostra immensa cultura umanistica.
Tra i compagnucci della parrocchietta e quei compagni incartati nelle bandiere rosse, per istinto ribelle, in pochi, si scelse d’essere arruolati volontari tra i vinti conoscendo il ghetto di cavalcare un pensiero divergente dall’omologazione al modello americano, fu scelta coraggiosa, forse perdente, tant’è, fu libera senza accampare frignamenti.
I sacerdoti integralisti del pensiero unico soffiavano dalle gote dello zio Sam spazzando via, via, in progress le resistenze della cultura valoriale europea, esso contaminava le lingue, cancellava usi e costumi, rovesciava i rapporti educativi, limava il pensiero da ogni tradizione ritenuta scoria, uccidendo l’anima ostacolo al diritto d’essere corpi ebeti gaudenti e riducendo le fedi a Onlus eco-filantropiche e i politici a vassalli obbedienti.
Anche l’antisovranismo viaggiava con quel soffio che è il soffio del padrone su l’ Occidente, sulla vecchia cagna sdentata ma non su quell’Oriente, orso o dragone, mai vittima del pensiero unico, di “quella quieta globalizzazione, di allegro e indolore contagio della democrazia ” a cui accenna in una riflessione Toni Capuozzo circa la guerra russo-ucraina, voce fuori dal coro becero di nani allineati, indaffarati a contar monete, calcolare il boomerang di sanzioni, sparando lacrimogeni di opinioni, melodramma di chi grida: “all’orso!all’orso!”, stracciandosi le vesti d’un pacifismo da operetta, a mo’ di quei bambini gracili perdenti a lotta che si rivalgono non passando più i compiti.
Quel soffio americano s’è spento a Kiev coi tanti precedenti, dalla Corea al Vietnam, dalla Somalia all’Iraq, alla Siria e al fuggi, fuggi afgano, pensando sempre che la pillola verde del modello yankee servisse a inoculare lo step paradigmatico dell’aquila calva, conquistare mercati e difenderli con l’Alleanza Atlantica.
Zitti, zitti, coi compagnucci dell’UE, dopo l’implosione dell’U.R.S.S. e dei regimi comunisti non allineati al Cremlino, gli U.S.A. hanno ingrassato la NATO coi Paesi dell’ex Patto di Varsavia più Romania, Albania e Stati indipendenti dell’ex Jugoslavia (Slovenia, Croazia, i due Montenegro), in ultimo il vento atlantico soffiava intrigante sull’Ucraina, un gancio micidiale alla sicurezza militare della vecchia Madre Russia, una modalità in tutto simile, a parti invertite, a quella crisi dei missili sovietici a Cuba del ‘62. Un giochino sporco, molto sporco piazzare soldati, armamenti, droni ai confini dell’ex Unione Sovietica, cavalcando sempre gli ideali di democrazia, libertà, autodeterminazione, ecc. tanto cari a quella propaganda che conosciamo bene dal ‘43.
Aveva ragione mio nonno ma guardandomi attorno siamo rimasti davvero in pochi a pensarla diversamente, quei quattro amici al bar di Gino Paoli, anche meno e davvero mi secca non di poco trovarmi a condividere la posizione di Marco Rizzo.
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