Una lezione che giunge fino a noi
Con il titolo ‘Un incontro fortuito’, alcuni anni fa, riprendevo su Ereticamente quanto letto di Daniel Halévy in Vita eroica di Nietzsche (edito dal Borghese, anno 1974) ove si descriveva dell’incontro al passo del San Gottardo tra il giovane filosofo – l’anno è il 1871 e lo stesso della pubblicazione de La nascita della tragedia – e Giuseppe Mazzini, ormai stanco pur se mai domo, intenzionato a rientrare in Italia ove era bandito – sarebbe morto il 10 marzo dell’anno successivo a Pisa, sotto falsa identità. In altre biografie la descrizione di come si svolse l’incontro si rende con tratti che vedono Nietzsche più o meno coinvolto, tutti però lo riportano e tutti, poi, sono concordi nel ricordare come Nietzsche, parlandone con l’amica Malwida von Meysenbug, esprimesse un giudizio assolutamente positivo sul Mazzini. Un incontro fortuito, certamente, ma che assume quasi valore ‘profetico’ data la caratura dei due protagonisti. Valeva la pena riproporlo nella postfazione a Giuseppe Mazzini, un italiano, scritti curati da Francesco Carlesi, edizioni Eclettica, di cui ho scritto già nel numero precedente de Il pensiero forte e di cui con Emanuele abbiamo partecipato con alcune brevi annotazioni – brevi, ma credo non banali.
Nietzsche, affascinato dalla figura del dio Dioniso, coglie nel ‘passo lieve di danza’ il senso tragico dell’esistenza la sua accettazione il superamento, la musica dunque. E, dopo aver esaltato la musica di Richard Wagner e restatone deluso, si volge alla Carmen di Bizet, ove vivono ed esplodono le emozioni. Nel Così parlò Zarathustra aveva indicato la necessità di preservare del Chaos in sé stessi per far sorgere stelle danzanti. Emanuele rileva come Mazzini fosse un abile suonatore di chitarra e che avesse scritto un saggio sulla musica con accenti romantici, con funzione di crescita pedagogica, di sentimenti e ideali di partecipazione. E ricorda come l’autore della celebre La leggenda del Piave (consiglio di cercare su Youtube il video Peppone e il discorso alla Nazione così come ricordo fu provvisoriamente inno d’Italia prima di decidersi su Il canto degli Italiani di Mameli), Giovanni Ermete Gaeta avesse adottato lo pseudonimo mazziniano di E. A. Mario, che era stato fedelissimo del Mazzini. Per dare immagine forte sull’estendersi nel tempo del pensiero dell’Italiano, pur non dichiarandosi suo seguace, ho voluto citare Filippo Corridoni interventista, amico di Mussolini, sindacalista rivoluzionario, caduto sotto Monte San Michele, ottobre 1915, che alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia s’era recato a Parigi ove aveva incontrato Amilcare Cipriani, che in un caloroso abbraccio gli aveva idealmente dato la consegna di proseguire il sogno rivoluzionario… E, infine, sempre Emanuele le parole stesse del Mazzini della cosiddetta ‘tempesta del dubbio’ ove, di fronte alle incertezze le inquietudini il dubbio appunto se valesse o meno proseguire una lotta carica di lutti sconfitte delusioni si rispondeva riconoscendo ‘la vita come missione’. Lezione, quest’ultima, che prevarica tempo e circostanze e giunge integra a noi, nel cuore e nella mente.
Immagine: https://www.visitgenoa.it/en/giuseppe-mazzini