La guerra in Ucraina – a ciascuno il suo Grillo


 

La guerra in Ucraina – a ciascuno il suo Grillo

Della necessità di avere un occhio di vetro nel fare politica sono assolutamente convinto quanto lo sono, da un’infinità di tempo, del prezioso vantaggio di essere affetto da strabismo nel ragionare di storie e di Storia: ciò perché è un vizio molto diffuso quello di ignorare lo scarto tra qui e lì e la distanza tra il prima e il dopo.

La vicenda del presidente ucraino Volodymyr Zelensky non è sostanzialmente diversa da quella di un Berlusconi o di un Grillo. In ciascuno dei tre casi è la televisione che decide. Il fondatore di ‘Forza Italia’ seppellì sotto una valanga di programmi fatui e diseducativi gli Italiani che poi gli avrebbero accordato la loro preferenza scambiandolo per colui che avrebbe salvato il Paese dai comunisti. Che non c’erano già più: si erano trasformati nell’ala sinistra del Nuovo Ordine Italiano (filiale e riflesso del NWO), che per potersi imporre come soggetto politico dominante e totalizzante, aveva bisogno di un’ala destra, cioè, appunto di un altro ‘moderato’ sul modello USA, quello in cui il confronto tra repubblicani e democratici è essenzialmente un confronto tra lobby.

Il contributo offerto dal ‘Cavaliere’ alla costruzione, sulle macerie della Prima Repubblica, della nuova Italia, è consistito nell’avere inizialmente contrastato con la propria batteria di ripetitori, sparsi su tutta la penisola, la propaganda dei ‘democratici’, ma le guerre pacioccone tra la RAI e Mediaset si sono poi dissolte nella disinformazione erogata dalle solite facce, comprese quelle degli uomini di partito che salgono e scendono da tutte le scale avvicendandosi nella questua delle interviste o provando un indicibile piacere – ciò che succede regolarmente nelle reti deputate al servizio pubblico – nel farsi graffiare a morte, davanti alle telecamere, da qualche carogna ingaggiata dal mainstream. 

Mi sarei aspettato che qualcuno dei tanti esperti che vanno per la maggiore facesse notare come l’atto di comparire, specie se ripetuto con notevole frequenza, sia risolutivo in termini di profitto politico, e come per conseguirlo non sia necessario averlo associato ad un’immagine seducente: lo dimostra, per restare nel piccolo – che è l’unità di misura adatta al nostro Paese –  il trasferimento dallo schermo televisivo  all’assunzione di responsabilità politiche importanti di tre volti, quello di Matarazzo e di Badaloni, quali presidenti della regione Lazio, e di David Sassoli, messo dal PD a capo del Parlamento europeo. Volti, appunto, maschere. La cui elevazione al rango di comprimari politici è dipesa esclusivamente dall’essersi proposti quasi ogni giorno, per anni,  all’ingorda passività del pubblico televisivo, la forma al posto del contenuto, la luce stroboscopica che ti penetra, tum tum, nel cervello per impedirgli di funzionare.

Come dicevo dianzi (dianzi: mi piace), la biografia di Volodymyr Zelensky suscita cachinni e orrore soprattutto in coloro ai quali sfugge – sempre per restare nel piccolo – che  siamo stati forse i primi nel mondo ad aprire le porte del Parlamento ai cicciolini e alle ciccioline, molto prima, cioè,  che il futuro presidente dell’Ucraina (impegnato ora nella parte dell’eroe assediato dai Russi) si esibisse in TV nei panni di un ballerino effeminato  che mostrava impudicamente la lingua e indicava l’inguine col taglio delle due mani: ma qui, almeno, dall’acquisire popolarità con queste schifezze (non molto dissimili, a dire il vero,  da quelle che vanno di sovente in onda dalle nostre emittenti nazionali) all’impadronirsi del potere in Ucraina con un consenso plebiscitario, il passaggio non è stato automatico. Tra uno step e l’altro, Zelensky ha recitato in una serie televisiva, “Il servitore del popolo” in cui il suo alter ego era un professore di liceo che quasi senza volerlo – l’impotente leggerezza di una piuma schiaffeggiata dal vento – si trovava di colpo a capo del proprio popolo. Una camera iperbarica come stadio intermedio tra lo squallore delle prime esperienze televisive e l’apoteosi politica. La decompressione contro il rischio del flop. Ma – ripeto – mi pare strano che si faccia tanto clamore sui trascorsi di Zelensky quando qui abbiamo un Grillo, il comico che, nell”86, aveva cominciato a gettare dei sassolini verso il PSI di Craxi, il proemio della fitta sassaiola che si sarebbe scatenata contro di lui, per farlo ritirare a vita privata e per far chiudere i battenti alla Prima Repubblica. Il santone che aveva visto il fallimento della Parmalat. Il filosofo ispirato che aveva concepito la formula dell”uno vale uno’, per giustificare a priori l’irruzione nel Parlamento e la conquista dei centri nevralgici dello Stato da parte di una torma di capre. Il veggente che ha indossato la mascherina molti giorni prima che scoppiasse la pandemia.

Nel caso di Grillo, la qualifica di ‘comico’ sta assai più stretta che addosso a Zelensky, intorno al quale si è sviluppato l’ordito della tragedia. Quest’individuo ha attraversato la bellezza di trentasei anni, come una cometa maligna, aprendo con gli attacchi a Craxi l’oscura stagione di ‘Mani Pulite’, lo strumento giudiziario adoperato dalle elite per   cancellare dalla scena politica chi dubitava della capacità di Bruxelles di corrispondere alle attese del Paese, chi immaginava di poter incastrare tra i vincoli imposti dalla NATO e dalla UE all’Italia una politica estera che ci consentisse di primeggiare nel Mediterraneo, anche a dispetto dell’amico francese.  Chi, esigendo la reciprocità nei rapporti con Washington, aveva patrocinato l’incidente di Sigonella, un’inezia, una cacchetta di mosca su sfondo bianco, ma il contrasto era stato troppo vistoso perché fosse esente da conseguenze, non necessariamente nel breve termine. 

Vale peraltro ricordare, per chi accusi di tanto in tanto dei vuoti, che mentre il pool di Milano decapitava il Paese, risparmiando la mannaia a Botteghe Oscure (il motivo addotto di tale scelta sarebbe stato, a scoppio ritardato, quello che non si voleva dare l’impressione di aver mosso guerra al mondo dei partiti e che, dunque, era stato deciso  di crearsi una sponda politica dalle parti del PCI), Draghi, allora direttore generale del Ministro del Tesoro,  saliva sul ‘Britannia’, ancorato al largo di Civitavecchia, per annunciare alle elite finanziarie internazionali che avrebbe svenduto  le partecipate dello Stato, mettendo così fine ad un lungo periodo, quasi cinquant’anni a far data dalla  caduta del fascismo, nel corso dei quali l’iniziativa privata e l’intervento pubblico si erano amalgamati piazzando l’economia italiana ai primi posti nel mondo.

A completare il quadro, a latere di quello che Draghi si ostina a definire un semplice ‘salutino’,  nel biennio ’91/’92, il peggiore di tutta la storia della Repubblica, accadde che  il ‘dottor  Sottile’, a capo del Governo, allungasse le sue zampette pelose dentro i depositi bancari degli Italiani per far fronte – così disse –  ad una drammatica carenza di liquidità del nostro sistema finanziario (alla faccia del carattere liberale delle istituzioni e del ripudio delle procedure solitamente adottate dai regimi totalitari), e che fossero tolti di mezzo con l’esplosivo due valenti magistrati, di nome Falcone e Borsellino, che avevano osato  calarsi nei bassifondi della politica senza sporcarsene.

Grillo c’era, non saprei dire se sempre nei panni di un semplice testimone. Aleggiava. Sta di fatto che, trascorso tutto questo tempo, il partito da lui fondato apparentemente dal nulla, anticipando Zelensky, blocca il Parlamento mettendosi di traverso sulla strada per le elezioni, elegge il presidente di un quinto della Repubblica (quanto potrebbero valere in percentuale gli Italiani che auspicavano il ritorno al Quirinale di Mattarella), offre a tutto il pianeta  l’immagine di un Paese caduto talmente in basso da  affidare ad un bibitaro  la propria politica estera, forse nella convinzione che abbiano già realizzato che non c’è nessuna politica estera, e che la politica, quella con la ‘p’ maiuscola, è morta insieme al Paese, trasformato in un distretto periferico del Mercato.

Ora, posto che Grillo senza la TV non sarebbe mai esistito, dovrebbe costituire oggetto di riflessione e di dibattito il fatto che in quasi quarant’anni, da quando il comico ha esordito come provocatore, nulla è cambiato, se non in peggio, anche grazie alla copertura mimetica, fatta di demagogia e di sofismi, che egli ha procurato all’establishment. Draghi nel ’92 prendeva il caffè sul ‘Britannia’. Ora è a Palazzo Chigi.  Giuliano Amato, il ‘dottor Sottile’ che si acquattava, novello San Pietro, dietro la propria ombra mentre lapidavano Craxi, è oggi fresco presidente della Corte Costituzionale.   La    vocazione autoritaria del regime è sempre più pronunciata mentre vengono enfatizzati ad arte i rischi associati alla pandemia, e si susseguono – sulla falsariga delle spogliazioni subite a suo tempo dai cittadini greci – gli attacchi portati alla proprietà privata, al lavoro e ai diritti essenziali della gente comune.

E questi si fissano sui tacchi a spillo di Zelensnky oppure sul dispotismo di Putin.                                                        

Ma per piacere!

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