Sorella fake

 

Sorella fake

A quanti si ostinano a credere che la verità sia un approdo facile e non invece una rientranza della costa, nelle cui acque, infestate da silenziosi mulinelli, sono sprofondate tante navi e tanta gente ci ha lasciato la vita, vorrei ricordare il caso del giornalista de ‘l’Europeo’, Tommaso Besozzi, che nel luglio del 1950, osservando attentamente il cadavere di Salvatore Giuliano riverso in un cortile di Castelvetrano, dedusse da alcuni dettagli che il bandito non era stato sorpreso, secondo la versione ufficiale, dai carabinieri del colonnello Luca e ne trasse motivo per risalire all’esecutore materiale di quell’uccisione, che era Gaspare Pisciotta, il suo luogotenente, reclutato per la prima delle grandi sceneggiate che hanno punteggiato la storia di questo Paese.

Il fatto in sé – l’eliminazione di Giuliano – era stato ristrutturato per occultare delle verità scomode, quelle che avrebbero poi portato alla morte di Pisciotta per un caffé nero corretto alla stricnina, ma il fatto può essere anche nascosto, ed é quindi plausibile l’ipotesi che esista un’altra Storia, al di là di quella che conosciamo o presumiamo di conoscere,  che non é mai stata intercettata dai mezzi d’informazione – l’equivalente del noumeno kantiano – della quale ci si occupa di striscio, en passant, solo per far presente che la mistificazione del fatto (l’allestimento dell’allunaggio avvenuto, secondo alcuni, in uno studio televisivo) é un evento di gran lunga più raro della manipolazione della notizia che lo concerne, attuata allo scopo di alterarne la percezione da parte delle persone, e ciò avviene, ad esempio, depurandola dei dati che non debbono diventare di pubblico dominio o che sono ritenuti idonei ad interferire col ‘testo’ commissionato dall’establishment. Si ottiene ovviamente lo stesso risultato per addizione, inserendo nella notizia dei dati che hanno solo una pallida attinenza  col fatto in sé, oppure ‘incartandola’ in una serie di commenti il cui unico scopo é quello di privare il suo destinatario elettivo della possibilità di riceverla e di rielaborarla in modo corretto.

Nel mondo dell’editoria, quello in cui un certo numero di dati riuniti all’interno di una pubblicazione, trasmigra – sotto la regia dell’autore e col placet dell’editore – dalla polvere di un archivio agli scaffali di una qualsiasi libreria, la distorsione della realtà, che avviene pressoché in automatico, é elevata al cubo dal fatto che 1) i documenti potrebbero essere stati scremati a monte da coloro che li hanno prodotti, o, a valle, da coloro ai quali la loro sparizione avrebbe provocato un vantaggio (come nella fattispecie del carteggio Mussolini- Churchill, finito non si sa dove); 2) che, nell’ordinare i reperti, i responsabili dell’archivio (intendendosi con questo termine ogni luogo deputato alla conservazione degli atti) possono essere stati indotti a compiere delle scelte, più o meno riconducibili alla loro sensibilità politica o al ‘momento’ in cui hanno svolto tale operazione, con la naturale conseguenza che esse riverberano su quelle dello studioso senza che egli abbia contezza della deviazione – millimetrica all’inizio, chilometrica  andando avanti –  impressa alla sua ricerca; 3) che nella maggior parte dei casi, il lavoro sui documenti, che si vorrebbe finalizzato alla fedele ricostruzione dei fatti , é contaminato dall’irrevocabile tendenza dello studioso ad avvalersi di quelli  che combaciano con l’interpretazione che gli e’ più congeniale, e, per converso, ad ignorare, quasi per forza d’inerzia, con innocente ‘nonchalance’, quelli che la disturbano .

Sembrerebbe perciò di poter dire che il fatto in sé é solo una chimera e che  ci si deve accontentare di procedere a zig zag tra varie ‘fake’ per tentare di portare a casa un frammento di verità, della Verità intera, celebrata nel libro dei sogni. Il problema occupa tutto lo spazio disponibile per una serrata discussione su come l’informazione faccia la differenza tra una sostanziale dittatura e una vera democrazia. I ‘sistemi’ hanno tutti incorporato una specie di Minculpop: per il loro carattere, che implica la soppressione del pensiero divergente e l’esercizio controllato delle opinioni, é un organo di cui non possono fare assolutamente a meno.  Ma l’ampia discrezionalità concessa in questi giorni agli esegeti della guerra in Ucraina, in un contesto, come quello italiano, che é allergico alle eresie, giustifica più di una riserva sulla validità dell’assunto secondo cui l’informazione langue in carcere nei regimi dittatoriali ed é libera, invece (col braccialetto elettronico stretto intorno alle caviglie) in quelli democratici che fioriscono in Occidente. In realtà, il distinguo non é così netto, e avanza pian piano il dubbio che esso non riguardi tanto il volume delle libere informazioni che circolano all’interno dei due sistemi, quanto piuttosto la strategia da essi adottata per impedire che passino attraverso il crivello quelle sgradite. Un ‘Dottor Zivago’ – il flop più clamoroso dell’attività censoria profusa dall’Unione Sovietica –  sarebbe inimmaginabile per un Paese come l’Italia, dove la selezione, improntata da diversi decenni a criteri meramente ideologici, avviene, con una procedura ‘furba’ che salva le apparenze a detrimento della sostanza, dirottando le opere disallineate verso l’editoria minore, il primo e ultimo step prima che essa si spenga, già quasi morta, su di una bancarella a Torpignattara.

 C’é di più, qui da noi, diversamente che nei distretti del pianeta dove viene fatta carne di porco dei diritti civili e il voto é quel puntino lontano che si fa fatica a vedere col cannocchiale –  l’anestesia preventiva del dissenso fa da pendant con la dinamica inflattiva dell’informazione che viene rovesciata sugli utenti, cioé sulla collettività, in quantità  industriali, di modo che le persone, sprovviste di un adeguato background culturale e soggiogate dai lampi bianchi della TV, una scatola magica monopolizzata dai discendenti di Cagliostro, non ci capiscano nulla.

Il gioco – disvelato nella liscia brutalità dei teatrini che vengono montati su tutte le reti unificate per spiegare l’Ucraina e la Russia – consiste essenzialmente nel creare un vocio incessante, di uccelli che vanno e vengono dall’uccelliera (perlopiù quasi sempre gli stessi) perché si abbia l’impressione che si tratti di un’informazione plurale, a somiglianza di un ordinamento di stampo liberale, che lo é per definizione.

La realtà é che l’attuale modello italiano -. dove l’opposizione, inadempiente e imbelle, deve recitare una parte, secondo  le liturgie perfezionate  e imposte dall’establishment – prevede il controcanto nelle modiche quantità e anche il disturbatore di professione, stile Sgarbi, purché  resti nelle mani  della razza padrona il privilegio di poter manovrare a proprio piacimento i fili invisibili  della propaganda e dello svezzamento delle masse (con gli omogeneizzati del  PD), e ciò avviene non solo con la sciempiaggine maligna del ‘Grande Fratello’ o con le trasmissioni che ripropongono le atmosfere delle vecchie lavanderie all’aperto, ma anche con l’orgogliosa ostentazione al pubblico di una moltitudine di macchiette, pagate bene: il giovane sedicente filosofo per aver studiato filosofia che parla come  uno scritturale dell’800, qualsivoglia, ohibo’, cicci’ cocco’; il vecchio trombone che si esibisce sempre, a comando, con la solita distopia, stando però attento a mettere  nelle premesse  del discorso quella che la volta precedente era la conclusione;  il professore di sociologia  che disserta di strategia da dietro lo schermo televisivo davanti al quale é arrivato da una delle tante università farlocche che sono sbocciate in Italia negli ultimi dieci o vent’anni, un sontuoso assortimento di sociologie, ce n’é per tutti i gusti, da quella del terrorismo, a quella dei montanari della Valsugana, a quella dei consumatori della frittura di pesce. Ciò che importa, affiancando agli impostori del primo tipo quelli del terzo, é che venga onorata la ‘par condicio’ delle opinioni, e che coloro che sono retribuiti per scantonare rispettino i limiti, senza allargarsi troppo.

E’ pertanto evidente, tirando le somme, come sia estremamente difficile sfuggire alle fake, specie adesso che irrompe nella nostra dimensione sensoriale il convitato di pietra della realtà aumentata: sarebbe un po’ come pretendere di rimanere completamente asciutti correndo tra due gocce, sotto il diluvio. La questione é complessa, sia per il singolo individuo, che deve imparare a difendersi dagli abbagli, che per i soggetti legati insieme dalla comune volontà di battersi per un potere più giusto. La Bastiglia – ce ne sono almeno un paio – é là dove la verità viene sistematicamente macellata ogni giorno. Ho l’indirizzo.

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