Il 29 marzo Gianpiero Mughini scriveva una lettera a Dagospia sul Battaglione Azov, tacciato da Putin di essere l’ala nazista dell’Ucrain e di conseguenza i compagnucci nostrani e salottieri avevano marcato questi valorosi soldati volontari usando lo stesso giudizio di disprezzo. Mughini al contrario li ha definiti “eroi massacrati come cani” perché tali sono nella strenua difesa della città martire di Mariupol come asserisce il sindaco Vadym Boychenko e se ancora essa resiste, o meglio esiste, è grazie a loro, nonostante bombardamenti e carri armati Z.
S’affaccia sul mar d’Azov questa città fiorente nel commercio di granaglie e acciaio, con una solida ossatura industriale d’ ingegneria pesante, è in posizione strategica per russi e ucraini, per questo non dorme sonni tranquilli dal 2014 nel tiro alla corda tra Kiev e l’autoproclamata Repubblica del Donec’k che l’ha acciuffata per i capelli, poi riconquistata all’Ucraina, adesso è nell’imbuto nero della guerra.
Mariupol è distrutta, assediata da circa 15.000 soldati russi, un tiro al bersaglio per i missili del Cremlino, il suo fiore all’occhiello, il teatro Drama, una tomba di calcinacci, ma si combatte strada per strada, casa per casa senza risparmio di coraggio in un rapporto di forze 1 a 5, una tragedia dal sapore epico, diverrà leggenda nella storia grazie al Battaglione Azov che rinverdisce d’incanto la battaglia delle Termopoli, i nazionalisti (oscurati da Zelensky) sanno che perderanno ma consegneranno la loro strenua resistenza al mito.
Meno di tremila uomini (forse solo 1.500) di slancio oltre l’ostacolo del raziocinio, inattuali nel mettere il proprio sangue sulla bilancia quando sull’altro piatto luccica l’oro, nessuna prostituzione etica e politica in tempi di meretricio, nessun dialogo se non il coltello tra i denti peggio dei corsari, emuli dei cosacchi ucraini di Crimea nella sfortunata battaglia di Beresteczko contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni Casimiro, correva l’anno 1651.
E’ forse vero che gli eroi son tutti giovani e belli o almeno così amiamo immaginarli e Denis Projipenko lo è, lui è il comandante in più alto grado del Battaglione Azov, wanted per il Cremlino con tanto di taglia, combatte nell’inferno di Mariupol coi suoi uomini contando su aiuti zero da parte delle forze armate ucraine, anzi di lui, di loro non c’è traccia, Zelensky li ha cancellati dai media, logicamente da fb, non esistono, su di loro è stesa la coperta soffocante del nulla, sono troppo scomodi quei “nazisti” per l’immagine dell’agnello aggredito dall’orso, quella fake cui s’è aggrappata l’operazione militare russa proclamando la denazificazione non solo dell’Ucraina ma del mondo!
Eppure furono proprio quei matti nazionalisti, nel 2014, a riportare Mariupol nel seno materno dell’Ucraina strappandola ai russofili del Donbass, è quello fu lo schiaffo più pesante subito da Mosca da parte delle varie formazioni paramilitari nazionaliste, saldate allora a salvaguardia dell’indipendenza della fascia nord orientale del Mar d’Azov. Così il filo grezzo del Cremlino ha cucito il nome di Stepan Bandera, fu leader dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini al tempo del secondo conflitto mondiale (morto ammazzato da avvelenamento targato KGB, un leitmotiv) e Andrіj Bіlec’kyj fondatore del battaglione Azov, cesellando l’uovo Fabergé in memoria della resistenza di Stalingrado all’armata tedesca e rinnovando così la lotta senza quartiere al nazismo vecchio e (a loro dire) nuovo.
La realtà è assai diversa, l’Azov Battalion, incorporato nella Guardia nazionale ucraina certamente è nazionalista (una parolaccia per i globalisti), il simbolo è il Wolfsangel “una tappola per i lupi predatori” (i russi), uno dei loro comandanti Dmytro Kuharchuck, intervistato, ha negato decisamente l’accusa di neonazismo, sono solo agguerriti patrioti e come dargli torto se ad aggredire sono stati i “liberatori” russi, ma si sa le guerre si combattono anche con le parole cult e nel sacco del Cremlino, ma anche nel nostro, l’assoluzione magica è l’antifascismo però dipende da chi fa la Resistenza.