Anno 1997 in RAI una trasmissione che rappresenta, comunque la si interpreti, una finestra su un mondo, una realtà caparbiamente ignorata, relegata al silenzio alla dimenticanza o fatta cenno d’insulto e d’ogni nefandezza. Titolo: La voce dei vinti. Circa un centinaio di uomini e di donne rievocavano la scelta fatta dopo l’annuncio via radio del comunicato letto dal Maresciallo Pietro Badoglio l’8 settembre del ’43. La resa senza condizioni gabellata come armistizio, la fuga del Re a mettersi sotto la protezione degli Alleati, lo sbando delle Forze Armate lasciate senza ordini e alla reazione dei tedeschi con rastrellamenti e deportazioni, migliaia di giovani e non che scelsero di continuare a combattere per l’Onore d’Italia con Mussolini la nascente Repubblica Sociale, ognuno con la sua storia motivazioni entusiasmi illusioni, travolti in un vortice tragico di sangue di vendette di resa dei conti. Una guerra civile a tutti gli effetti, a lungo negata, l’un contro l’altro armati, con quei giovani che al contrario andarono in montagna si nascosero in città si organizzarono in bande all’agguato, il colpo alla nuca la macelleria messicana lo stupro. Ideatore, regista, Sergio Tau e, al termine d’ogni puntata, un breve commento di Giano Accame, che auspicava sanare la frattura storica (citava sovente Via col vento come romanzo dei sudisti, i vinti, e che, però, era divenuto simbolo unitario ed epopea della guerra di secessione negli Stati Uniti), e Claudio Pavone, storico della resistenza, che l’aveva per primo intesa quale ‘guerra civile’ (fino allora negata per mitizzare una liberazione di ‘un popolo alla macchia’ contro l’esclusivo invasore germanico).
Tramite alcuni degli intervistati – uomini e donne della Xmas, l’ausiliaria e cieca di guerra Giovanna Deiana e Giulio Setth, già ufficiale della divisione San Marco (il cui figlio è fra gli amici più cari), di cui Tau era grato per la sua testimonianza grintosa e priva di remore – feci la sua conoscenza e, nel corso degli anni, s’era resa amicizia sincera e ricca di spunti culturali e storici. Preservatasi anche quando, alcuni anni fa, Sergio si era trasferito a Rieti, luogo più raccolto e vivibile. Lunghe telefonate ove mi raccontava delle ricerche che stava effettuando su un episodio cruento avvenuto al termine della guerra in un paesino d’Abbruzzo. Una giovane donna, rimasta incinta di un soldato tedesco e che aveva seguito quando il fronte s’era ritirato al Nord, era ritornata a casa e gli abitanti del paese l’avevano linciata in piazza… In quella località non v’erano stati rastrellamenti rappresaglie prevaricazioni, commentava Sergio, la presenza tedesca discreta ed anzi quei soldati condividevano il magro pasto con i contadini del luogo. E pure l’odio era stato iniettato ed era esploso, fattosi rivalsa sul più debole, su quella giovane donna inerme. Duro a morire, quasi fosse un titolo di merito e i suoi frutti l’abbiamo conosciuti negli anni cupi della nostra giovinezza. E ci riaffiorano in questi giorni di aprile con i tanti, troppi assassinati della nostra parte… Sergio, all’improvviso, se n’è andato, s’è spinto avanti quasi avesse fretta – mi piace pensarlo – volesse raggiungere quei ‘ragazzi’, quelle giovani donne, a cui aveva dato voce e costoro lo chiamassero per condividere quello spazio di cielo a loro riservato – che, poi, è quello dei santi dei martiri degli eroi…