Draghi alla NATO? Magari, ma non succederà
La fonte è attendibile, molto attendibile (un generale dell’Esercito, che vediamo spesso in tv a “spiegarci” la guerra tra Russia ed Ucraina): “Draghi lascerà presto il Governo, per un ruolo di primissimo piano alla Nato”. Ipotesi possibile, vista anche la frenetica attività del nostro premier, a servizio degli Stati Uniti, con l’invio di armi a Zelensky, appunto secondo la volontà di Washington. Ma, se davvero questa possibilità prendesse forma e il Migliore lasciasse Palazzo Chigi, Letta nipote, Conte, Renzi, Salvini e compagnia entrerebbero nel panico, perché loro, per Draghi, hanno già disegnato un percorso che arriva almeno fino al 2025 ed è quello che lo vede ancora alla guida dell’esecutivo.
Nel 2023, è vero, ci sono le elezioni e Draghi certamente non si vuole candidare, ma, con l’attuale sistema elettorale, quel che resta dei partiti avrà gioco facile – in un Parlamento a ranghi ridotti, ma comunque prevedibilmente ancora simile a una sorta di Vietnam, senza maggioranze chiare – a sponsorizzare il Migliore e un Governo da lui presieduto.
Del resto, tutto quello che leggiamo e ascoltiamo in queste settimane porta esattamente in questa direzione, con buona pace dell’ipotesi del generale. Il quale argomenta la sua tesi con convinzione: “Draghi non ne può più dei partiti che sostengono il suo esecutivo e la Nato sarebbe un’ottima via di fuga”. Vero, ma un personaggio come Draghi, se davvero volesse “scappare”, coglierebbe al balzo una delle tante liti nella sua maggioranza e rimetterebbe il mandato. Invece, niente: resta ancorato saldamente alla poltrona di Palazzo Chigi, forte del “patto di ferro” con Mattarella e della nullità di quelli che tutti noi ci ostiniamo, colpevolmente, a definire “leader” dei partiti.
Enrico Letta è un leader? Conte è un leader? Salvini è un leader? Speranza è un leader? Tajani è un leader? Questi signori sono i capi dei loro partiti, che a loro volta sono un’accozzaglia di uomini e donne, “battezzati” deputati o senatori, in virtù della loro capacità di essere proni ai voleri del “padrone” di turno. Insomma, una schifezza totale, dalla quale effettivamente Draghi farebbe bene a fuggire, se davvero fosse il Migliore.
Anche Draghi, però, nella sua lunga e gloriosa carriera – e, in particolare, in questo periodo a capo del Governo italiano – ha dimostrato di servire tanti padroni: i potentati bancari e finanziari europei e mondiali e gli Stati Uniti d’America in primis. E, dunque, è l’uomo adatto per continuare a svendere la nostra amata Italia a investitori senza scrupoli, che però fanno comodo agli amici di Biden e Macron, che a loro volta, oltre allo stesso Draghi, hanno in Renzi ed Enrico Letta ottime spalle all’interno della maggioranza di Governo.
Draghi alla Nato, dunque, sarebbe un’ottima ipotesi, per non rivederlo a Palazzo Chigi anche nel 2023. Ma temiamo che resteremo tutti delusi: i presunti “leader” di cui sopra, quasi certamente, lo riproporranno come presidente del Consiglio anche nel 2023, per almeno un altro paio di anni. Ci diranno che una risorsa del genere deve restare alla guida del Governo, per salvare il Paese, in crisi per le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina. E i poveri saranno sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Con la benedizione del Migliore.
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