In un’intervista data a Biagi Pier Paolo Pasolini – l’oracolo inascoltato – disse: “Nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico”. In tutta modestia, senza essere McLuhan, ma avendo comunque riguardo per le implicazioni politiche e sociali dei media, in special modo della televisione, mi sono permesso, a suo tempo, in un vecchio articolo, di denunciare l’avvenuta discriminazione, operata dalla TV, tra coloro che stanno davanti al piccolo schermo, ai quali è soltanto concesso, sotto forma di condanna, di subire, deprivati del diritto di replica, i messaggi e le immagini irradiate da tale media, e coloro, invece che gli stanno dietro, sui quali insiste il privilegio, per l’appunto ‘antidemocratico’, di poter inondare il pubblico del proprio pensiero – sempre che ne abbiano uno – e di costringerlo a patire gli effetti di una subalternità disarmata: il plagio per gli sprovveduti, e la frustrazione per gli altri.
La dicotomia colta da McLuhan, tra un media ‘caldo’, come la radio, perché stimola nell’utente una modesta partecipazione sensoriale, e un media ‘freddo’, come la TV, che lo avvolge, è il frutto di una brillante speculazione sulla natura dei mezzi di comunicazione di massa, ma non tiene conto, ovviamente, dell’enorme sviluppo che la televisione ha conosciuto negli ultimi quarant’anni, anche a seguito della proliferazione delle emittenti private, e del fatto che la sua occupazione da parte della politica è andata ben oltre quella dello spoglio orticello delle Tribune in bianco e nero alle quali – c’era una volta – erano ammessi, una tantum, i segretari dei partiti alla vigilia delle elezioni.
Una distinzione, ben più aderente allo spirito e alle condizioni del nostro tempo, va invece fatta tra l’innata propensione per il comportamento ‘democratico’ della radio nel consentire l’osmosi tra il dentro e il fuori (come avvenne con la trasmissione ‘Chiamate Roma 3131’ iniziata nel ’69 e cessata nel ’95, e come avviene anche adesso con ‘La zanzara’, benché si tratti di intrattenimento da trivio), e l’indole aristocratica della TV che non ammette il contradditorio, ed è dunque più congeniale agli interessi di questa classe politica che, incapace di progettare anche per l’indomani, e tenuta insieme dall’infatuazione per il potere, può solo limitarsi a conquistare posizioni e abbuoni sul terreno della visibilità.
I contenuti in un contesto come quello attuale, dove la Destra e la Sinistra sono entità intercambiabili, non sono la cosa più importante: il premio per i divi e per i divetti del teleschermo è stabilito in base alla frequenza delle loro apparizioni e alla loro capacità di tenere desta l’attenzione dello spettatore con quanta più energia ci mettono nello spararla più grossa (il ritorno di Giovan Battista Marino dai trionfi di piume e di cipria del ‘600). Non è perciò un caso – per quanto detto a proposito della ‘visibilità’ – che diversi mezzibusti televisivi, da Marrazzo a Sassoli, siano stati reclutati per fare politica e – quanto all’inclinazione per gli eccessi – che si sia ormai consolidata la brutta abitudine di spingere verso le telecamere della gente la cui unica qualità consiste nel proporre l’avanspettacolo, l’arena coi gladiatori disseminati per terra, il Grand Guignol e il Burlesque.
Da quest’altra parte dello schermo, che in molti hanno imparato a tenere rigorosamente spento, si agita l’Italia autentica delle persone comuni che vanno e vengono dal lavoro, che fanno avanzare il Paese, i rappresentanti del Terzo Stato che non sono, come si suol dire, degli straccioni (non ancora), ingegneri, artigiani, medici, avvocati, che non hanno alcuna possibilità di interferire con l’uso padronale dei mass media e languiscono nel cono d’ombra dell’irrilevanza politica. Fu, a dispetto dei cliché, il confinamento in questa specie di purgatorio a portare sul pulpito i Robespierre e i Danton, ma la Bastiglia ora è la RAI che fa pagare l’abbonamento anche a chi è insofferente del mainstream – una variante del ‘pizzo’ – e sorge ovunque si scatena la guerra per conquistare l’inquadratura perfetta, i calci negli stinchi, tra Salvini e Bersani, nella gara a chi compare di più. Ricordo con infinita tristezza l’esibizione di Berlusconi, ospite di ‘Porta a porta’, allorché, piazzatosi davanti ad una carta geografica dell’Italia, con la bacchetta in mano – che è lo strumento degli strateghi e dei maghi – indicava dove lui avrebbe fatto costruire, una volta vinte le elezioni, delle nuove autostrade. Finì che fece sparire la pianura padana e piallò l’Appennino, l’apoteosi del cemento, ma fu contento di mettere insieme un discreto bottino dei voti: della serie, che bisogna farsi vedere per avere e dare la sensazione di esistere. Insomma, è molto difficile che un’opposizione seria la sfanghi se non riesce a procurarsi un microfono e una macchina da ripresa, anche perché di bastiglie da resettare ce ne sono forse due, coi libri di scuola – il prato su cui si bruca fin quasi al raggiungimento della maggiore età – che svolgono per conto dell’establishment un ruolo essenziale, allineandosi ai media: dare informazioni castigate, formattare i cervelli, il lavorio silenzioso di occhiuti ispettori che controllano i libri di testo per vedere che siano coerenti col Verbo. Così, mentre da qualche parte qualcuno si riesce a divincolare dalla stretta della cultura dominante, da qualche altra parte qualcun altro ci casca dentro. Su e giù. Per sempre?
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