L’Ucraina insegna


 

L’Ucraina insegna

E’ del tutto normale, in un mondo reso sempre più piccolo dalla velocità con cui si riducono le distanze, che le grandi potenze finiscano per creare, nell’espandersi, delle aree di sovrapposizione, e facciano salire al loro interno le probabilità che divampino dei conflitti. La guerra guerreggiata in Ucraina, nella zolla interessata allo sbandamento verso destra della macchina della NATO e, contemporaneamente, al palese tentativo da parte dell’attuale dirigenza russa di recuperare i territori perduti con la dissoluzione dell’impero sovietico, sta a dimostrare che si è aperta una nuova fase nel quadro delle relazioni internazionali.

La convalescenza della Russia, uscita quasi morta dall’implosione del ’90, é ormai un capitolo chiuso. Il rombo di tuono – hurrà, hurrà – che si é sentito a Mosca e a Pietroburgo in occasione del 9 maggio, anniversario della vittoria sui nazisti, é l’inequivocabile traccia sonora di un Paese che torna idealmente a sventolare la bandiera rossa con la falce e il martello, non per nostalgia verso una dottrina che gli ha procurato solo lacrime e sangue, ma perché sotto di essa hanno marciato per cinquant’anni i rappresentanti  del Cremlino che tenevano in ostaggio mezza Europa e che andavano in tutto il mondo, specialmente in Africa (terra di facili conquiste, facendo la spola tra Barre, Menghistu e Neto ) col catalogo sotto il braccio per mostrare le ultime novità dell’internazionalismo proletario – roba buona, gliela do a prezzi stracciati , signora, ne approfitti! – in realtà per mettersi al posto delle vecchie potenze coloniali che mollavano la presa e si ritraevano in se stesse come panni di lana trattati in lavatrice con la temperatura sbagliata.

 

Non é neppure un caso che durante la latitanza dei Russi, i Cinesi abbiano cominciato ad organizzare – in ossequio al principio che il ‘vuoto’ é inconcepibile in natura quasi quanto lo é nei rapporti tra le nazioni – delle trasferte per comitive di geologi e di ingegneri verso l’Africa. Nello Zambia, giusto per dare un’idea di quali siano le proporzioni di questo esodo silenzioso (le formiche, infatti, stanno molto attente a non fare rumore) sono sorti, a ridosso delle miniere, interi quartieri, tuttora disabitati, perché aspettano i Cinesi, in giacca e cravatta, che andranno lì a setacciare le terre rare: un gadget, composto da una ciotola di plastica e da un paio di bacchettine per portare il riso alla bocca, é ciò che danno agli indigeni, la replica di una bella stampa del ‘500, in cui compaiono i marinai della Pinta mentre ipnotizzano gli indiani col lampo delle cianfrusaglie e degli specchietti.

Una prova ulteriore dell’inderogabilità di queste due leggi – l’insorgenza di conflitti dove avviene la sovrapposizione di faglie contigue, e la provvisorietà del ‘vuoto’, che attrae come una calamita le forze ‘autorizzate’ ad entravi da parte di quella rinunciataria – é la traccia lasciata chiaramente sulla carta geografica dall’imperialismo russo, levatosi dalle ceneri di quello sovietico, che parte dal Medio Oriente, con l’imponente dispositivo militare messo a disposizione dell’alleato siriano, e compie una lunga curva in corrispondenza dell’Africa settentrionale (dove contende ai Turchi il protettorato della Libia, mentre l’Italietta osserva rincitrullita dal balcone) e un’altra ancora al di sotto della  regione subsahariana, dove potrà al massimo trovare un pò di resistenza nella vocazione coloniale dell’Eliseo.

Sarei tentato di affermare che si tratta di fenomeni troppo evidenti per essere equivocati, se non fosse per uno strillone (spocchiosetto e ignorante, di quella cultura che si estrae goccia a goccia dalle sinossi del Bignami) che spazia, facendo rullare un tamburo, su tutti i canali televisivi per esaltare la verginità di Putin; se non fosse per i chierichetti della Comunità di Sant’Egidio – la ruota di scorta della Farnesina (ai bei tempi era l’ENI) – che fanno professione di pacifismo fingendo di non aver capito che la pace é una buona cosa, ma l’esserne suggestionati sino al punto di farne una religione, per l’appunto il pacifismo, é una forma di depravazione, come lo é, ad esempio, a scuola, il nozionismo nei confronti della nozione; se non fosse per le Sinistre geneticamente modificate che tifano per la NATO, ululando di piacere nel sentir parlare dei ‘nazisti’ del battaglione Azov che tengono testa ai Russi dal ventre torrefatto delle acciaierie di Mariupol, il replay di Fort Alamo, e se, infine, non fosse per le Destre geneticamente modificate che – disgustate dalla letale insipienza dei Governi di Roma e di Bruxelles – parteggiano per i Russi anche quando questi sollevano sul campo di battaglia le insegne sporche di naftalina dell’Unione Sovietica, o quando Putin, dalla faccia deformata da un’imperscrutabile malattia, dichiara di aver scatenato una guerra preventiva contro l’Ucraina sulla base di una serie di informazioni secondo le quali  la NATO si stava accingendo a riprendersi la Crimea, come se per cautelarsi dal rischio di venire condannati all’ergastolo per l’uccisione della suocera bastasse dire di averla ammazzata perché l’aria che tirava era quella che volesse avvelenarti la colazione.

Ho, purtroppo, la netta sensazione che la guerra in Ucraina abbia generato , nel palinsesto ideologico sia della nuova Destra che della nuova Sinistra (si fa solo per dire…), qualcosa di molto simile ad una tempesta magnetica, e che l’opinione pubblica, bersagliata dagli impulsi subliminali emessi da due opposte fonti propagandistiche, si sia persa per strada, allontanandosi da quello che é, almeno per noi italiani, il nocciolo del problema, che é quello di scongiurare con qualsiasi mezzo la precipite deriva di questo Paese, sgovernato da perfetti imbecilli, verso l’irrilevanza assoluta, e, in quanto europei,  quello di lavorare per la costruzione (resasi indispensabile per la tendenza della pluralità dei Paesi a raggrupparsi nei grandi insiemi, il moto centripeto di dischi di grasso nel consommé) di un’altra Europa, in cui tutte le risorse ideative non siano assorbite dal Fiscal Compact, e che, nel mettere insieme, con una mescola completamente diversa da quella attuale, il severo pragmatismo dei Tedeschi, la testardaggine dei Greci, l’orgoglio dei Francesi, e la febbrile scapigliatura di noi Italiani, si proponga finalmente di tornare a contare.

Però, intanto, bisogna trovare una diversa collocazione per Di Maio e vedere cosa fare di Draghi. Io qualche idea ce l’ho, ma é un po’ troppo lunga per queste pagine.

 

Immagine: https://www.capital.it/

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