A coloro che sono usi, nel migliore dei casi, tagliare a fette la Storia come un cocomero, senza minimamente rendersi conto del ‘continuum’ che c’era prima di dividerla in pezzi, o che, nel peggiore, la ignorano, faccio presente che nel ‘manifesto di Verona’ approvato il 14 novembre del ’43, dai fascisti che davano vita alla RSI, c’era già tutto il materiale necessario per l’operazione di copia/incolla da cui sarebbe scaturita la Costituzione – dichiaratamente antifascista – del dicembre del’47, con l’inevitabile adattamento alle circostanze di luogo e di tempo dei principi che non potevano acquisire nell’immediato forma di legge. In particolare, il punto 8) del Manifesto, che rimase, tutto intero, lettera morta per la pressione degli eventi bellici e per l’ingombrante ‘tutela’ dell’alleato tedesco, parlava di ‘comunità europea’ (sic), esplicitando l’auspicio che essa nascesse dalle ceneri della guerra come una confederazione di patrie, ma che se ne stesse alla larga dal mondo anglosassone dal quale era stato partorito l’obbrobrio del liberismo.
A buona ragione, quindi, i soggetti che oggi osteggiano l’Europa – questa creatura del mainstream internazionale concepita per dare una bandiera e uno statuto al turbocapitalismo, come una specie di Israele per i discendenti di Abramo – potrebbero chiamarsi, se non fascisti, ‘repubblichini’, perché il problema del quale ci si occupa quasi ogni giorno, e quasi ogni settimana su queste pagine, non è l’Europa in sé, che deve costituirsi per fronteggiare il gigantismo di tutti gli insiemi che la circondano, dalla Cina all’Islam, ma è l’imprinting con cui è stato battezzato, il quale permette ad alcuni Paesi , come la Germania, di esercitare sui burocrati di Bruxelles una vigile autonomia, e costringe, per contro, quelli dotati di una classe dirigente più scarsa, a seguirli passivamente anche quando il convoglio imbocca la direzione sbagliata o nel muoversi lede i loro interessi: una costruzione artificiosa, una squadra di ‘illuminati’, che in cambio delle norme che emanano (risolutive come sul calibro delle zucchine o sulla vendita al dettaglio delle locuste surgelate) pretende che ogni Paese aderente le ceda parti cospicue della propria sovranità.
Non esiste all’atto un algoritmo che possa stabilire le dimensioni, per ogni singolo Paese, di questa rinuncia, che, per l’Italia, non ancora del tutto depurata (non lo è mai stata, completamente) delle tossine che la declassarono da ‘donna di province’ a ‘gran bordello’ ai tempi di Dante, debbono essere, ad occhio e croce, ciclopiche. Lo si può ricavare, tanto per cominciare, dalla parola ‘fine’ posta a suggello della nostra politica estera, che è stata ceduta ai maggiorenti di Bruxelles, dovendo escludere che nelle segrete stanze dell’Europa e negli sgabuzzini italiani non si sappia che Di Maio, oltre a masticarne assai poco, quasi niente di Geografia e di Storia, incontra gravi difficoltà nel leggere i documenti diplomatici, che, come tutti ben sanno, sono scritti spesso in una prosa lastricata di trabocchetti invisibili e di circonlocuzioni chilometriche per confondere le idee anche a chi ne capisce qualcosa: posto, comunque, che in un Paese geloso della propria credibilità non ci sarebbe posto né per un povero figurante come Razzi che a nome dell’Italia vola nella Corea del Nord per rabbonire Kim Jung Un, né per un altro campione di presenzialismo a buon mercato, come Salvini, che, tra una degustazione di risotti nella Bassa e un selfie coi trovatelli di Vattelappesca, imbastisce delle misteriose strategie per mettere fine alla guerra in Ucraina e per eliminare qualsiasi competitore dalla corsa al Nobel.
Che lo Stato non esista più – solo la facciata, un immenso mozzicone di cemento armato , come a Dresda, dopo il bombardamento del febbraio del ’45 – lo dimostra quel poco che con molta fantasia, associata all’assunzione di qualche stimolante per bocca, si suole definire ancora ‘Scuola’: un posto, in realtà, dove l’unica cosa che si insegna e si apprende é come farsi accettare dalla massa dei mediocri, la promozione garantita, i professori che si fanno dare il voto dai loro alunni (immancabilmente assai basso, specie se li si accusa di essere troppo severi), il primo della classe che è stato il primo, tanti anni fa, ad essere stato preso di mira dai precursori della ‘Cancel Culture’, il muro dei comunardi sozzo di sangue, ma senza troppo fragore, un colpo secco ogni tanto, perché le eccellenze sono per definizione fenomeni intermittenti, l’ascensore sociale che non va più né su né giù, e questo mentre i figli dei padroni e dei sindacalisti che praticavano la Pubblica Distruzione (non faccio nomi perché non ho soldi per l’avvocato) frequentavano le scuole migliori in Svizzera ed in Inghilterra, dove se sbagli il congiuntivo te lo fanno blu, verde e rosso come quello di un babbuino.
La Scuola che non c’è è perfettamente funzionale al ruolo di un Paese che ha smesso di essere Stato, perché non ha bisogno di nuove leve che si mettano al posto delle vecchie quando fossero decimate dalla livella di Totò. L’essere a rimorchio offre, tra i tanti inconvenienti, l’indiscutibile vantaggio di non doversi preoccupare di cosa succederà domani. Un pò, come il papalino che si affacciava intorno a mezzogiorno sulla breccia di Porta Pia: adesso ci penserà qualcun altro. Un’annessione? Il rumore, pressoché impercettibile, che fa il pesce piccolo quando è risucchiato dalla gola ad imbuto del pesce più grosso? E’ possibile che non ce ne siamo mai accorti? Il combinato disposto di due facili teoremi, quello della ‘finestra di Overton’, e quello della ‘rana bollita’, fanno propendere per la risposta affermativa, tanto più che si tratta di una metamorfosi sistemica, che impiega un bel po’ di tempo per completarsi. Sembrerebbe un controsenso, infatti, che sullo scranno più alto del Viminale si sia seduta, dondolando i piedi, una nonnetta raggrinzita, piuttosto che un omaccione ruvido come Scelba, ma l’obbligo che ormai vien fatto al Ministero degli Interni, dopo la chiusura di fatto della Farnesina (gli Esteri), é soltanto quello di progredire nella realizzazione del piano Kalergi che gli è stato commissionato da Bruxelles, con l’apertura della stagione di caccia alle donne bianche (vedi Peschiera), con l’abbattimento delle frontiere, con l’abbandono nelle mani della criminalità africana di interi quartieri al centro e alla periferia delle grandi città, come Milano e Roma, con l’impunità garantita – complice il legislatore tardigrado – alle baby gang, il frutto ancora acerbo di tre clamorosi fallimenti, la famiglia, la Scuola, e l’abolizione del servizio di leva, degli involucri di carne che galleggiano, senza più un punto di riferimento, su di un mare immoto di merda.
Anticipo l’obiezione: però le Forze Armate…Errore. La coscrizione obbligatoria, l’atto con cui ogni singolo cittadino, gridando ‘lo giuro!’, s’impegnava ad offrire la propria vita per l’integrità della propria Patria, non fu eliminata – tagliando corto sulle sue implicazioni di carattere pedagogico e morale – sulla base di un calcolo economico, ma dipese con tutta probabilità dal convincimento, negli ambienti della vecchia Sinistra ammalata di pacifismo, che per la difesa del Paese bastasse l’ombrello atlantico e che, al più, si sarebbe profuso uno sforzo per uniformare l’organizzazione del nostro apparato militare ai criteri dettati dagli USA: un ridimensionamento che ha comportato l’assunzione da parte delle Forze Armate di un ruolo sussidiario, del cameriere che corre da un tavolo all’altro, una volta per servire gli interessi americani nella guerra con l’Iraq, una volta per servire, contro quelli dell’Italia, gli interessi americani e francesi che piombano in Libia per eliminare, con Gheddafi, il nostro maggiore fornitore di energia e di petrolio.
Riflettevo l’altro giorno su come è cambiata la festa del 2 giungo ai Fori Imperiali, da quadrata dimostrazione di forza (della serie che quando ci vuole, ci vuole…) ad happening un po’ sbracato, di gente che va fuori tempo, un’allegra improvvisazione, alé oh oh. Del resto, la tendenza nelle società aggredite dal ‘pensiero unico’ è quella di concedere più spazio alle soluzioni individuali, ‘sparpagliati’ meglio che ‘vincoli’. Ho rubato da Pappagone.
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