«Intanto guardate: Tunisi è là! (..) e ci sono i francesi (..), che ce l’hanno presa a tradimento! E domani possiamo averli qua, in casa nostra.» Con queste parole Luigi Pirandello racconta ne “I vecchi e i giovani”, (1913) l’episodio passato alla storia come “Lo schiaffo di Tunisi”.
Il governo francese nel 1881 con un’azione di forza stabilì il protettorato sulla Tunisia, già obiettivo dei propositi coloniali italiani. Il Regno d’Italia nel 1868 aveva siglato con la Tunisia un trattato per una durata di 28 anni, per regolare il regime delle capitolazioni. L’accordo garantiva alla Tunisia diritti, privilegi e immunità concesse da diversi Stati preunitari italiani. Gli italiani di Tunisia conservavano la loro nazionalità d’origine e non dipendevano che dalla giurisdizione consolare in materia civile, commerciale e giudiziaria. L’uguaglianza assicurava agli italiani la libertà di commercio ed un vero e proprio privilegio d’extraterritorialità per i loro stabilimenti. In materia di pesca e di navigazione, beneficiavano dello stesso trattamento dei tunisini. Infine, il Bey non poteva modificare i dazi doganali senza consultare preventivamente il governo italiano.
Principale obiettivo di politica estera del governo guidato da Benedetto Cairoli era lo stabilimento di un protettorato sulla Tunisia, rivendicato però anche dalla Francia, Cairoli, non ritenne di procedere ad un’occupazione, confidando nell’ appoggio della Gran Bretagna in quanto questo protettorato avrebbe limitato la sfera di influenza francese in Africa del nord.
Agli inizi del 1881 invece la Francia decise di intervenire in Tunisia militarmente. A Tolone, si organizzò un corpo di spedizione di ventimila uomini. Il 3 maggio un primo contingente francese sbarcò a Biserta, raggiunto l’11 maggio dal resto delle forze. La Tunisia fu occupata, gli accordi con il Bey stracciati. Londra nonostante le aspettative di Cairoli, si schierò con la Francia, in quanto ostile al fatto che una sola potenza nazionale controllasse per intero il Canale di Sicilia. I rapporti fra il nostro paese e la Tunisia hanno origini millenarie, tutta la storia del Mediterraneo è fatta di incontri, scontri, approdi e guerre che hanno dato vita all’originale eterogeneità dei Paesi che vi si affacciano. Il cosiddetto “Schiaffo di Tunisi”, il primo di cui parliamo, fu dato dai Francesi alla nazione Italiana.
La repressione Francese continuò sino al 20 marzo 1956 quando la Francia concesse alla Tunisia l’indipendenza. Artefice di questa vittoria e fondatore della Tunisia moderna fu Habib Bourghiba (Monastir 1903- 2000), leader della lotta per l’indipendenza e primo Presidente della Tunisia. Bourghiba studiò al Collège Sadiki di Tunisi, dove ottenne il diploma arabo. Dopo essersi laureato in diritto ed aver conseguito la specializzazione in studi politici alla Sorbona nel 1927, sposò la francese Mathilde Lorrain. Dopo il matrimonio rientrò a Tunisi, esercitando la professione forense.
Nel 1932 fu tra i fondatori del giornale “L’Action tunisienne”, propugnatore di orientamenti laici. Durante gli anni trenta la repressione coloniale Francese si fece più violenta, e nel 1938 Habib Bourghiba fu imprigionato in Francia per “cospirazione contro la sicurezza dello Stato”. Con l’occupazione Tedesca della Francia, su specifica richiesta di Benito Mussolini fu liberato dalle SS, e consegnato all’Italia dal governo di Vichy, che sperava di utilizzarlo per “Radio Bari”, la radio in lingua araba, con l’intenzione di indebolire la resistenza francese nel Nord africa e porre la Tunisia sotto protettorato Italiano. Ma Mussolini che non conosceva la storia politica e personale di Boirghiba non aveva tenuto conto della suo formazione Francese, di una moglie Francese e della sua affiliazione alla massoneria in una loggia del grande Oriente di Francia. L’8 agosto 1942 Bourghiba lanciò un appello per sostenere le truppe alleate e per questa posizione fu di nuovo arrestato dagli stessi nazisti che lo avevano liberato e fu rimesso in libertà solo nel maggio 1944. Questo è un secondo schiaffo, dato dalla Tunisia all’Italia.
Nel dopoguerra, Bourghiba rientrò in patria e avviò negoziati con il governo francese, con la concessione dell’indipendenza, e Liquidata la monarchia, il 25 luglio 1957 venne proclamata la repubblica, con Bourghiba come Presidente. Sotto la sua presidenza fu avviato un vasto piano di riforme destinate a dare avvio alla sovranità nazionale ed alla modernizzazione della società tunisina. Venne ridimensionato il potere dei capi religiosi, le donne ebbero accesso ad uno status assolutamente inusitato per il mondo arabo (divieto della poligamia, sostituzione del divorzio al ripudio, legalizzazione dell’aborto). Fu impostata la struttura di una moderna scuola pubblica e gratuita, mettendo fine al doppio regime, (scuola coranica e scuola di tipo occidentale). Nel settore giudiziario furono instaurate corti giudiziarie civili, ponendo fine all’influenza dei religiosi sulla magistratura.
Nel 1975 fu nominato Presidente a Vita. Nel 1978 la Tunisia fu designata come sede della lega araba e in seguito dell’ OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Iniziato sotto il segno della laicizzazione il lungo regno di Bourghiba si concludeva nel crepuscolo del decadimento mentale senile del capo dello Stato, e in un grave rischio di crescita dell’l’islamismo radicale. Nel 1987 Bettino Craxi Presidente del Consiglio dei ministri dal 4 agosto 1983, tramite Fulvio Martini, nome in codice “Ulisse”, ex ammiraglio italiano e direttore del SISMI, (Servizio informazioni e sicurezza militare), riuscì dove Cairoli e Mussolini avevano fallito, porre la Tunisia anche se non ufficialmente sotto protettorato Italiano, e lo fece come Cairoli in maniera incruenta. “Non ci fu una goccia di sangue”, nota con soddisfazione l’ex capo del servizio militare. E non rinuncia a una stilettata verso il pari grado Francese. “L’unica vittima fu un capo servizio europeo che ci rimise la poltrona perché al suo governo non piacque la nostra soluzione”. Nella notte del 6 novembre 1987 sette medici, tra cui due militari, furono chiamati nel cuore della notte, presso il Ministero degli Interni, ad accoglierli Zine El-Abidine Ben Ali (1936 –2019) da poco nominato primo ministro. Ben Ali chiese ai 7 di firmare un documento in cui si riconoscesse il Presidente Bourguiba, ormai anziano, incapace di intendere e di volere. Uno dei sette medici all’epoca medico personale del presidente, iniziò a protestare, ma fu costretto a firmare. Ben Ali divenne il secondo presidente della Tunisia moderna tramite l’unico colpo di stato “medico” rimasto negli annali del mondo arabo. Il tutto sotto la regia dei servizi Italiani. L’11 ottobre 1997 l’ex capo dell’intelligence italiana, ha rivelato il un’intervista a “La Repubblica” alcuni particolari della vicenda: “Tutto è iniziato con la visita del primo ministro italiano Bettino Craxi in Algeria nel 1984 (..) Gli algerini erano nervosi per la crescente instabilità in Tunisia ed erano pronti ad intervenire, a causa dei rischi che la situazione presentava ai propri interessi strategici. Ciò significava che l’esercito algerino era pronto a invadere la parte della Tunisia attraversata dal gasdotto che trasportava il gas algerino in Sicilia. (..) Craxi mi ha chiesto di andare in Algeria e di stabilire un contatto con i servizi di sicurezza al fine di evitare qualsiasi movimento improvviso da parte Algerina. Fu l’inizio di una lunga operazione di politica estera in cui la sicurezza i servizi hanno svolto un ruolo centrale. Alla fine le parti hanno convenuto che il generale Ben Ali sarebbe stato in grado di garantire la stabilità della Tunisia meglio di Bourguiba. (..) Abbiamo suggerito questa soluzione agli algerini e ne hanno discusso con i libici. Sono andato a parlare anche con il capo della sicurezza francese René Imbot reagì con arroganza e dichiarò semplicemente che noi italiani non dovevamo essere coinvolti, perché la Tunisia faceva parte dell’eredità imperiale della Francia “. Un mese dopo il “golpe”. Questo fu lo schiaffo dell’Italia alla Francia.
Il 7 novembre Ali divenne presidente della Tunisia, Bourghiba fu confinato nel suo “dorato” palazzo di Monastir, sotto controllo di una équipe medica, dove morirà 6 aprile 2000 all’età di 96 anni.
Nel 1999, in occasione delle prime elezioni presidenziali con due candidati, il partito di Ben Ali, ottenne il 99,66% dei suffragi. Nel 2002 Ben Ali impose una riforma costituzionale che abolì il limite di durata alla carica presidenziale, permettendo la sua rielezione nel 2004 con una percentuale del 94,5%. Il leader proseguì la politica del predecessore, nel 2007 secondo il World Economic Forum, l’economia tunisina si classificò al primo posto in termini di competitività economica su tutto il continente Africano.
Nel frattempo, in Italia, dopo il Britannia, l’intera classe politica della prima repubblica contrari alle privatizzazioni auspicate dal “Vile Affarista” Mario Draghi, fu spazzata via dal golpe giudiziario di “Mani Pulite”. Il nemico principale da abbattere era il Segretario del Partito Socialista Bettino Craxi, reo di ave sempre avuto nonostante la giurisdizione limitata dell’ Italia, una propria politica estera sganciata dai diktat statunitensi. (Craxi nei suoi mandati oltre che artefice della svolta Tunisina, stipulò accordi con il governo Turco, sostenne il Partito Socialista Rivoluzionario Somalo di Siad Barre, fornì un convinto appoggio alla causa palestinese, intrecciando relazioni diplomatiche con l’OLP, e all’epoca del bombardamento statunitense su Tripoli, avvenuto il 14 aprile 1986, avvertì in anticipo Gheddafi impedendone l’assassinio. Obiettivo dichiarato dell’amministrazione craxiana, come quella di Cairoli e Mussolini, era quello di fare dell’Italia una potenza regionale nell’area del Mediterraneo, obbiettivo in contrasto con quelli di Francia, Inghilterra, Stati Uniti ed Israele. Rincorso da un mandato di cattura internazionale al leader socialista non restò che rifugiarsi presso l’amico Ben Ali, che lo ospitò, e lo protesse sino alla morte, avvenuta il 19 gennaio 2000 per arresto cardiaco. Dalla latitanza Craxi continuò a commentare le vicende della politica italiana, perseverando nelle accuse rivolte al PDS e ai giudici di Mani Pulite, accusati di essere manipolati del governo degli Stati Uniti, che dopo la crisi di Sigonella, volevano un “cambio di regime politico” in Italia.
I funerali ebbero luogo alla cattedrale di Tunisi e videro una larga partecipazione della popolazione autoctona. Ora l’occidente un “cambio di regime politico”, lo voleva anche in Tunisia.
Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 iniziano nei paesi arabi forti scontri contro i legittimi governi, le famose “Primavere Arabe” spesso fomentate dall’occidente e dalle ONG fra cui la “Open Society Foundations” di George Soros. I paesi maggiormente coinvolti furono Egitto, Siria, Libia, Yemen, Algeria, Iraq, Giordania e la Tunisia. La rivoluzione tunisina prese il nome di “Rivoluzione dei Gelsomini”. Il 14 gennaio 2011, la gente comincia a radunarsi in piazza Mohamed Alì, sono oltre sessantamila dimostranti, perlopiù giovani. Alle ore 18.30 il Primo ministro Mohamed Ghannouchi, dopo aver decretato lo stato di emergenza, andò in onda sulla televisione di Stato, rivelando che il Presidente Ben Ali non aveva più alcun potere e assumendo la guida del paese. Nel pomeriggio dello stesso giorno, Ben Ali abbandona il paese, trovando asilo in Arabia Saudita dopo l’avvertenza da parte dell’Italia che non gli sarebbe stato permesso l’atterraggio. Le proteste, però, non cessano. Il nuovo obiettivo è Ghannouchi, visto da molti come troppo legato al passato regime. Il 26 gennaio 2014 entra in vigore una nuova Costituzione, di stampo semipresidenziale che dovrebbe offrire garanzie di “libertà ed uguaglianza”. Da allora sino al 2019 è un susseguirsi di governi. Purtroppo i Tunisini ci metteranno poco a capire che il modello “democratico”, ha anche risvolti negativi. Istruzione e sanità che sotto Bourgiba e Ben Ali erano completamente gratuiti divengono parzialmente a pagamento, in pochi anni il costo delle materie prime, dell’acqua e dell’energia aumentano in maniera esponenziale. Il 23 ottobre 2019 entra in carica un nuovo presidente della Repubblica Kaïs Saïed Kaïs Saïed, giurista e accademico, professore di diritto costituzionale. Il 25 luglio 2021, esautora il Primo Ministro, licenzia i ministri della Difesa e della Giustizia, e sospende i lavori del Parlamento invocando l’art. 80 della Costituzione tunisina. A dicembre 2021 ha annunciato un referendum costituzionale per tornare ad una costituzione pre “Primavere Arabe” in cui il Presidente eserciterà il potere esecutivo, con l’aiuto di un premier e di ministri da lui nominati, che potrà revocare quando vorrà e senza la necessità di un voto di fiducia in Parlamento. Il referendun si è svolto nella giornata del 26 luglio (2022), con una bassa affluenza, (circa il 30%) esito del boicottaggio (anche violento) indetto dai partiti di opposizione contro qualsiasi partecipazione alle urne. Ma il presidente Saied incassa il 90% di si. Ha salutato la vittoria con queste parole: “I tunisini hanno dato una lezione al mondo, una lezione di storia”, Al di là delle considerazioni sulla persona sul merito e sui metodi, l’ultimo schiaffo lo dà la Tunisia al mondo Unipolare, spegnendo “democraticamente” la scintilla artificiale e artificiosa delle “primavere arabe”.