Elezioni: la Meloni ha già vinto. O no?
Si vota il 25 settembre, ma a via della Scrofa (sede dei Fratelli d’Italia) e dintorni questo, ormai, è un dettaglio, quasi irrilevante: a vincere sarà certamente Giorgia e per i suoi fedelissimi si prospettano cinque anni di abbuffate, tra posti ministeriali, nomine nei ruoli chiave dello Stato e della Rai e poltrone varie, negli enti più e meno importanti. Al voto, però, manca ancora un mese e l’esperienza ci ha insegnato che chi entra nelle urne da vincitore spesso ne esce con le ossa rotte o, comunque, con una cocente delusione.
Serve prudenza, dunque. Esattamente quella che non mostrano i “fratellini”, lanciatissimi verso Palazzo Chigi e la guida della disastrata Italia. Non solo sono convinti – in base ai sondaggi – che la Meloni stravinca, ma credono anche che lei e soltanto lei possa salvare il Paese. E, badate bene, non è tattica elettorale: no, a leggere le chat interne, si comprende che questi signori non hanno chiara (tutt’altro) la pochezza della loro leader, che gli italiani voteranno anche in massa (questo dicono, appunto, i sondaggisti), ma che certo non sarà in grado di dare quella svolta che serve al Paese.
Al contrario, se le cose andranno come ci spiegano quotidianamente i vari Mannheimer e compagnia, il declino di Giorgia Meloni sarà tanto rapido quanto inevitabile. Se sarà lei a vincere e ad avere i numeri per essere indicata come Presidente del Consiglio, ad esempio, possiamo star certi che le élite finanziarie europee e mondiali, in combutta con i burocrati di Bruxelles, la faranno a pezzi nel giro di qualche mese. Se, invece, i numeri non saranno sufficienti a farla indicare come premier, stavolta Giorgia da Garbatella sarà costretta dai suoi stessi fedelissimi a far parte di un governo molto ampio, guidato magari dallo stesso Draghi o da un Tremonti qualunque.
In ogni caso, per la Meloni si apriranno le porte della discesa, esattamente com’è avvenuto per Renzi prima e per Salvini poi. Perché, come loro, anche la Meloni non ha la stoffa di un vero leader: può piacere, al primo impatto, perché appare diretta e concreta; può conquistare voti, soprattutto per aver rivendicato un’opposizione dura e pura ai vari governi che si sono succeduti nella legislatura, anche se, a ben guardare, su molti temi ha fatto da sponda a Conte e Draghi; può convincere gli elettori, insomma, per un breve periodo. Ma, nel lungo termine, la sua pochezza non può che venir fuori, in modo nitido, facendola precipitare.
Per questo motivo, alle schiere di fedelissimi – vecchi e nuovi – consigliamo di non esporsi troppo: cinque/sei anni fa, l’Italia era piena di renziani, soprattutto nei gangli del potere; tre anni fa, prima del Papeete, gli italiani facevano ore di fila per un selfie con Salvini; oggi, c’è la corsa a dimostrare che tutti, ma proprio tutti, hanno avuto un nonno fascista, per compiacere Giorgia e i suoi accoliti.
E’ triste, molto triste, ma questo è quello che succede ogni volta che c’è qualcuno in procinto di vincere: tutti vogliono salire sul carro del vincitore (per ora solo probabile) e fanno carte false per riuscirci. Sperando di non fare la fine di Bersani, che nel 2013 era certo di smacchiare il giaguaro (ossia di battere Berlusconi) e finì per essere smacchiato dai grillini, che lo costrinsero a una trattiva estenuante, lasciandolo alla fine con un palmo di naso.
Lo sanno bene i voltagabbana e gli opportunisti di mestiere, che oggi sono lì, ad adulare Giorgia Meloni, dipinta come una donna in grado di cambiare il corso della storia italiana, ma che domani saranno i primi a denunciarne l’inadeguatezza e a invocare di nuovo il “salvatore” Mario Draghi.
Perciò, gli italiani che hanno una testa e non ragionano in base ai sondaggi taroccati ci pensino bene prima di esprimere il loro voto: tra qualche mese, potrebbero pentirsi amaramente di una scelta avventata, che, anziché proiettarci nel futuro, ci farebbe piombare drammaticamente indietro.
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