La resilienza e il diritto di odiare


 

La resilienza e il diritto di odiare

E’ da una vita che tento inutilmente di capire per quale misteriosa ragione il termine ‘fascista’ abbia assunto una connotazione negativa anche nei Paesi a suo tempo abitati dal partito comunista, nonostante da quelle parti la pressione del totalitarismo rosso sulle persone sia stata infinitamente più forte di quello nero in Italia, e il computo delle vittime si traduca in un’imbarazzante sproporzione tra i massacri, a milioni, perpetrati dai tovarisch e poco più di cento, che é il numero delle condanne a morte durante il periodo fascista, quasi tutte decretate nei confronti di criminali comuni, riconosciuti colpevoli di omicidio. Moltiplicata per dieci tale somma fotografa quella dei morti ammazzati nel corso della guerra civile a bassa intensità che divampò nel triennio antecedente la marcia su Roma, mentre fu di diverse decine di migliaia il bilancio degli assassinii consumati dai ‘partigiani’, a guerra finita, sui soggetti (donne, uomini e bambini) che avevano avuto un pur flebile rapporto col regime, l’encomio del podestà o la fotografia del ‘duce’ piazzata sul comodino.

Come abbia fatto il Potere detenuto dal mainstream a purgare il termine ‘comunista’ del suo alone nefasto e , contemporaneamente, a ‘siringare’ la parola ‘fascista’ per riempirla di significati che non le appartengono, é un portento che non può essere spiegato se non col fatto che il Potere, in quanto tale, si esercita sul linguaggio e impone il proprio attraverso un processo che penetra nei recessi più profondi della società, incalzandola da ogni lato: il filtro sui libri di testo perché siano in sintonia col politicamente corretto; il dirottamento della ricerca storica verso le secche dell’editoria minore, ad uso e consumo degli ‘indios’ che sono sopravvissuti al Pensiero Unico; la corruzione dei media ai quali é fatto obbligo di dare un effetto ridondante alla voce del padrone.

Il Potere é stato anche capace di improvvisarsi rigattiere, andando a scovare nel baule delle parole dimenticate una parola, ‘resilienza’, che in realtà riguarda l’attitudine dei corpi ad assorbire gli urti: l’esaltazione, nella sfera dei comportamenti umani, della tendenza ovina a sopportare le vessazioni, a coprirsi il capo con l’orlo della tunica come fece Cesare nel realizzare che non c’era più scampo, il corrispettivo, secondo Eduardo, della lunga attesa dell’alba giacché ‘a da fini’ ‘a nuttata’.

Giuro di non aver mai usato, ne’ sentito, né letto questa parola prima che prendesse forma la distopia di un mondo spezzato in due, da un lato i demiurghi del Mercato, e, dall’altro, una moltitudine di piccoli uomini che sciamano, storditi e confusi, come quando si solleva una pietra, e sotto ci sono delle formiche. La Resistenza, con l’iniziale maiuscola per enfatizzarne la sacralità artificiosa, avvenne contestualmente all’atto con cui, gli Americani, riportando la mafia in Sicilia, dichiaravano che l’Italia era ‘Cosa Loro’, ma la ‘resilienza’, con la ‘r’ minuscola’ é roba per chi é incapace di reagire, una specie di polizza morale studiata per i vigliacchi.

Giorni fa Galimberti – inaspettatamente attaccato, sia da destra che da sinistra, per certe sue opinioni sui ‘Promessi Sposi’ – esternava, in buona sostanza, delle riserve sull’opportunità di propinare agli studenti dei licei l’opera del Manzoni. Obtorto collo, per diversi motivi, mi trovo costretto a dargli man forte. Da ragazzo, infatti, pensavo che un romanzo del genere – un ineguagliabile ricamo – potesse essere stato scritto non solo da un ricco borghese al quale la madre non aveva mai chiesto di levare le chiappe dalla scrivania per andare giù a prendere il pane, ma che esso fosse congeniale agli interessi del Potere perché conteneva l’implicita esortazione a tollerare l’oppressore e a confidare nella Divina Provvidenza: per l’appunto, ad essere ‘resilienti’, tutto ciò che di meglio ci si può aspettare da un sottomesso, la fine della Storia che non può aver luogo senza divenire, e non può divenire senza che sia alimentata dalla collisione degli opposti, dal nero contrapposto al bianco, dall’amore contrapposto all’odio, yin e yang.

Ho pertanto il sospetto che anche l’ostracismo decretato dal mainstream verso le differenze – ad esempio, enucleando il merito dalle scuole o togliendo agli uomini e alle donne il piacere di sentirsi diversi – rientri in una strategia di più ampia portata, di cui fa parte – convertita in legge – la soppressione del diritto di odiare, che l’aggredito esercita nei confronti dell’aggressore, non la postfazione delle Sacre Scritture, ma il prototipo di una società di alienati e di schiavi.

 

Immagine: https://www.eewitaly.it/

 

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