L’imbecille che è in noi

L’imbecille che è in noi

Il tavolo di legno scuro, sempre ingombro di carte, e in una comoda sedia imbottita e schienale un po’ con richiamo ad alto incarico profetico, un trono ci si scherzava sopra, Walter svolgeva le sue mansioni di proprietario di tipografia di saggio libero ad accogliere e distribuire grani di saggezza ad un’area frantumata in cento rivoli di colonnelli, arroganti e presuntuosi, litigiosi, a capo di eserciti ombra – ignari d’essere copia de I ragazzi della via Paal. Vi ho trascorso tante mattine, inizio anni ’80, e devo essergli grato per aver stampato sul suo Ennecaedro le prime mie prove e modesti tentativi da piccolo intellettuale borghese. Ed essergli grato per il modo accorto e garbato con cui tenne, rasserenante, i contatti con i miei genitori quando ‘l’aria’ di Roma s’era fatta insalubre per le richieste che provenivano, ringhiose, dalla Corte d’Assise di Catanzaro.

In quel suo studio, alle sue spalle, in sottile cornice la citazione del filosofo spagnolo Ortega y Gasset, autore de La rivoluzione delle masse, che aveva trovato ascolto fra noi, alla ricerca di radici più profonde e strumenti più acuti di riflessione di analisi e di lotta: ‘Essere di destra di centro (questa era una aggiunta arbitraria e necessaria) o di sinistra è uno dei tanti modi per un uomo di definirsi imbecille’. Egli riteneva che in una società giusta ed equilibrata vi fosse a fondamento la massa, ma che erano le élites politiche e culturali da essa riconosciute il compito ultimo di reggere le redini dell’ordine costituito. La modernità, con la rivoluzione della quantità, aveva prodotto il dissolversi di questa secolare visione del mondo (si pensi alla Repubblica di Platone) e le masse si erano dichiarate capaci di interpretare esse stesse e da sole la funzione guida o mediante suoi tribuni. Era il trionfo dell’uomo volgare. Coerente, all’avvento di Franco al potere, se n’era andato in esilio.

Dominio dell’uomo volgare; dominio dell’imbecille. Del resto nessuno si stupiva, nessuno si scandalizzava, nessuno si contrariava o si sentiva offeso. Destra e sinistra erano distinzioni nate a caso, all’inizio della Rivoluzione dell’89 e, per consuetudine, assunte a categorie del ‘politico’. Il teatro di Giorgio Gaber ‘cos’è di destra, cos’è di sinistra’, l’ultima poesia di Pasolini scritta in friulano a rammentarci appunto come… Ennio Flaiano, fustigatore di costumi in sintonia con quanto era stato Leo Longanesi, s’era accorto che in ciascuno di noi c’è dell’imbecille e che, in tempi di normalità, si tendeva a nasconderlo, ma oggi, fingendosi sorpreso, rilevava come l’imbecille che è in noi ha successo.

(Scritto in modo frettoloso domenica pomeriggio, pensando a me stesso che, per sfida e rivalsa agli insulti, che per me sono titoli di merito, ‘giustamente’ declinati mi sono lasciato avvincere dai ‘ludi cartacei’… Angelino Rossi, i cui pugni erano magli, dopo aver cambiato i connotati ad un omaccione che s’era permesso in un bar del Prenestino d’essere ‘sgarbato’, mi si rivolse e resosi consapevole essere io, esile e occhialuto, un sedicenne piccolo borghese m’impartì la prima lezione di volenteroso apprendista dell’attivismo romano: ‘Prima mena e poi discuti’).

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