Evita Meloni: o forse no


 

Evita Meloni: o forse no

Li chiameremo ‘decada infame’: sono, giorno più, giorno meno, gli anni compresi tra la catarsi elettorale del 25 settembre scorso e la nomina di Monti a presidente del Consiglio dopo la proiezione su di un telo gigante delle ombre cinesi che riproducevano lo spauracchio dello ‘spread’.

In questo lasso di tempo non ne sono successe di tutti i colori, ma di un colore solo, quello di un’oligarchia spietata, prona al gotha finanziario internazionale, che ha fatto intorno a sé terra bruciata portando il Paese alle soglie del sottosviluppo e della fame, ma non si dica che scarseggia la materia prima per un parallelismo con l’Argentina che vide i conservatori, tra il 1930 e il 1943, prendere il potere per poi gestirlo attraverso la corruzione ed i brogli elettorali, giacché scatenare sui teleschermi le ‘rule’ e i ‘formigli’, i ‘saviani’ e i ‘lerner’ contro ogni forma di dissenso rispetto al ‘sistema’ é la più grave forma di corruzione che si possa immaginare (in quanto infligge danni mortali alla libertà di pensiero, pilastro di ogni democrazia), e privare, inoltre, con una serie di pretesti, i cittadini del diritto di andare a votare quando il ‘banco’ teme di uscirne sconfitto, é cosa moralmente e politicamente assai più grave che fare dei magheggi intorno alle urne.

Qualcuno potrebbe obiettare che qui il gioco delle analogie ha il fiato corto per la semplice ragione che i contesti che vi sono richiamati sono profondamente diversi. Infatti, le Forze Armate non hanno mai svolto in Italia una funzione politica, non almeno alla luce del sole, a differenza del Sud America dove, invece, il tintinnio delle sciabole é quasi più comune di quello emesso dalle pentole vuote.

Nel periodo immediatamente successivo alla fine della ‘decada infame’, la CGT accompagnò Juan Peron nella conquista della Casa Rosada. In fondo, lo stesso ruolo assolto, qui da noi, dalla triplice sindacale sino alla fine degli anni ’80 in appoggio alla Sinistra che montava occupando sempre maggiori spazi negli emicicli del Parlamento ed entrando in dosi sempre più elevate nei gangli della società civile.

Dopo tanti anni di monumentale ipertrofia, nel corso dei quali si era occupato di tutto e di tutti, a ruota della Sinistra, Il sindacato confederale si é fatto da parte un po’ alla volta, a mano a mano che il PCI, con una delle metamorfosi più riuscite insieme a quella di Kafka, abbandonava, cambiando continuamente ragione sociale – da PCI a PDS, a DS, a PD – il patrocinio delle classi mano abbienti per prostituirsi alle elite, ma la rinuncia a fare politica é stata essa stessa una scelta politica, compiuta per non disturbare il manovratore. La ‘Triplice’ risorgerà dalla catalessi – puoi scommetterci gli ammennicoli – quando la Meloni prenderà possesso di palazzo Chigi e Landini avrà finito di masticare il supplì con cui si era presentato (fu l’ultima sua apparizione in pubblico) ai fotografi durante gli Stati Generali del 2020, sotto Giuseppi Conte.

Dal groviglio dei problemi nei quali l’Argentina si trovò incagliata durante il ‘decennio infame’ si levò, materializzandosi accanto al generale Peron, un’esile donnina, Eva Duarte, che sino ad allora aveva combattuto per procurarsi delle particine nei teatri del suo Paese. Di origini piccolo-borghesi, aveva trascorso l’infanzia nell’anonimato della provincia (il corrispettivo di una Garbatella allargata) per poi stabilirsi a Buenos Aires dove entrò in contatto con l’uomo che l’avrebbe fatta diventare Evita. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre, che l’aveva concepita con l’amante, ritornò dalla moglie e sparì per sempre dalla circolazione (suppergiù, i trascorsi della Meloni commentati dalle iene della TV): sembra, allora, che l’essere state lasciate in tenera età dal proprio padre rafforzi nelle figlie femmine una straordinaria capacità di arrivare almeno in finale nel torneo della vita e assai spesso di vincerlo. Ma la spirale dei ricorsi vichiani, che s’avvita vorticosamente su se stessa quando la leader dei FdI si osserva la mattina allo specchio e decide per il cignon – i capelli biondi che assumono la forma di una grossa cipolla dietro la nuca – si blocca di colpo, nonostante la caduta della Stalingrado d’Italia e la strepitosa vittoria riportata a Capalbio, il feudo dei fighetti con la erre moscia abbonati al PD, e ciò accade allorché insorge il dubbio che la ventilata fedeltà all’Alleanza Atlantica della Meloni – ove essa sia esente da qualsiasi condizione – non sia solo un espediente tattico escogitato per sfuggire a qualche strano incidente di macchina, e che la timidezza ostentata nel pronunciarsi sui peccati dell’Unione Europea ( il ricorso, ad esempio, a soluzioni autarchiche da parte della Germania, della Francia e dell’Olanda che acuisce a dismisura il deficit energetico dell’Italia) le liberi la corsia per arrivare senza troppi intoppi, a palazzo Chigi, affrancandola dal pericolo di doversi ‘restringere’ a favore dei due carrelli al traino, che sono quelli del tutto inutili, a mio giudizio, di Salvini e di Belusconi.

Il voto di Sesto San Giovanni, dove la Rauti – non certo un nome qualsiasi – ha surclassato l’esponente del PD, Fiano, che parlava solo di ‘fassisti’ con la cantilena ossessiva degli indemoniati e dei matti, dimostra che l’aritmetica, la somma presuntiva dei voti, non può rimanere refrattaria all’algebra delle emozioni e dell’istinto politico, cioé del coraggio: quel che é mancato a ‘Fratelli d’Italia’ nel decidere di correre insieme ad un dispensatore di bacetti, che vale al massimo quattro, e ad dispensatore di barzellette, che vale al massimo tre.

Sarebbe interessante, infine, sapere se nel ricevere le congratulazioni di un tale Fini la segretaria dei FdI se ne sia compiaciuta, perché anche questo riscontro fa la differenza: tra una nuova Evita e Giorgia Meloni, il vecchio che passa per nuovo, Porta Portese.

 

Immagine: https://www.micromega.net/

 

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