Le pedine nere sulla scacchiera

Le pedine nere sulla scacchiera

Mauro e Massimiliano sono andati il 28 ottobre a Predappio. Per dire, soprattutto a sé stessi, di “esserci” stati. Testimoni. Come, inviandomi una chat, hanno fatto Anna Maria e Mario. Nella piazza davanti alla chiesa, sotto tutela di poliziotti e carabinieri, un gruppetto di “resistenti”; al cimitero, in attesa di poter entrare nella cripta, in fila ordinata e silente alcune centinaia di fedelissimi, sobri e composti. Così è scivolato il centenario della Marcia su Roma, dopo quel fiume d’inchiostro ad appagare autori e editori più che i lettori. Ed il silenzio di una storiografia dimentica su perché e come, comunque e nonostante tutto, quell’avvenimento è fra i pochi della storia patria che ha contato oltre le Alpi e il mare che circondano la penisola. Una Nazione tornata ad essere “paese”. Per mio conto riprendo la narrazione – ognuno ha la sua “Predappio” – di “un ragazzaccio in camicia nera”.

In pullman, partecipe del rito collettivo, casalinghi panini in tasca e bottiglia d’acqua resa effervescente dalla bustina d’idrolitina, seduto accanto a Marco, biondo ardito aitante. Il tono ironico della scrittura non vuole tacitare la nostalgia della giovinezza con i suoi sogni e ideali. L’andata è il repertorio completo di canti del Ventennio e della RSI con qualche variante su Togliatti e la DC, a squarciagola e stonati. Qualcuno dal finestrino sventola il tricolore, facendo incazzare l’autista; qualcuno, invano, prova a riprendere il sonno interrotto. Spartanamente l’appuntamento è alle 5,30, puntuali, sotto il fatidico balcone a Piazza Venezia. Giunti, allineati nel piazzale fuori l’entrata del cimitero, in prima fila la corona di fiori e il gagliardetto – a Mario non tocca mai privo del physique du role e del vestito buono -, si avviano verso la cripta eretta al termine del viale centrale. Poche scalette e si è davanti alla tomba di pietra, ricoperta dalla bandiera con l’aquila dorata e nei rostri il fascio grigio, la foto in divisa della Repubblica e lo stivale calzato al momento della morte. All’unisono il Presente! E scattano le braccia levate nel saluto romano. Arde la lampada votiva e vi sono sempre, dei fiori.

Tutto l’anno e da tutte le parti d’Italia c’è qualcuno che avverte in sé la necessità di esserci. Anche Mario ha imparato, pur liberatosi di riti comunitari e da ammucchiate chiassose, che quel luogo gli appartiene in un angolo della sua sfera emozionale. E cerca di non mancare all’intima promessa di raccogliersi per pochi minuti là dove, simbolicamente, s’è snodata la sua esistenza… Si gironzola per Predappio. La giunta comunista è ben consapevole che da questo affluire costante e consistente di nostalgici ci si trae guadagno e, quindi, simile alle tre scimmiette, non vede, non sente, non parla. Bar e ristoranti e negozi espongono tazze e portacenere, calendari, busti e fasci d’ogni misura, magliette con frasi lapidarie. E’ il campionario del kitsch. D’altronde San Marino dista poche decine di chilometri. Si fa a gara per rientrare a Roma con un tangibile ricordo. Poi a tavola. Per loro fortuna fanno compassione e qualcuno paga un piatto di pasta. I panini rimangono inguattati per riserva al ritorno. Si riparte. Breve sosta per il caffè e una corsa al bagno. E qui scoppia la rissa.

Sul marciapiede stazionano una ventina di ragazzotti strafottenti e, ai tavolini del bar, un altrettanto numero. Una parola di troppo. Chi ha dato il via alla sarabanda non si sa e poco conta. Ai pugni seguono sedie e tavolini. Mario s’impadronisce di un vaso di fiori e lo lancia nel mucchio. Marco brandisce per il collo la bottiglia e, per renderla più micidiale, decide di romperla a terra. Idea buona per qualche film. Nella realtà gli si rompe in mano e i vetri gli si conficcano fra le dita. Quando la vetrata del bar viene giù con un sonoro crepitio, c’è il fuggi fuggi generale. Meglio: sono i paesani a squagliarsela perché i camerati hanno come rifugio solo il pullman. Arriva la polizia. Identificati, spinti e scortati fuori del paese. Dopo qualche chilometro Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza… e via, di nuovo, con il repertorio. Solo Marco imbruttisce e tace. E’ permaloso e Mario si guarda bene di fargli battute. Tanto gli passa e via che di altre occasioni di riscatto non mancano.

28 ottobre 1922, il centenario.

 

Immagine: https://dizionaripiu.zanichelli.it/

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