Italia espressione geografica – culla di generazioni perdute

 

Italia espressione geografica – culla di generazioni perdute

Che l’Italia sia nata male è ormai risaputo. Una sorta di iattura dantesca ci accompagna da più di ottocento anni. Il momento giusto per fare dello Stivale una nazione, uno stato compiuto autorevole e senza compromessi, era stato colto da Federico II di Svevia: ma l’erede del Sacro Romano Impero dovette inesorabilmente fare i conti con l’aristocrazia italiana, che da un lato giurava fedeltà al sovrano e dall’altro andava a piangere dal Papa. Così lo “stupor mundi” dovette arrendersi, nonostante il proprio valore, al fatto che l’Italia (concetto romano barbarico) non era più Roma. Purtroppo siamo sempre più bacchettoni e fregnoni, adusi a piangerci addosso ed incapaci di pretendere antichi ruoli. Nessuno, fortunati noi, punisce più la pavida doppiezza italiana: lo scomunicato imperatore svevo decimava per squartamento circa duecento signori italiani, perché vili e sempre pronti a farsi consolare dal Papa. Dopo secoli Giuseppe Mazzini esortava che ci unissimo sotto il nome di Roma, ma la vile nobiltà non poteva osare tanto dalla Sicilia alle Alpi, così vinse il concetto barbarico di Regno d’Italia.

Vili ma iscritti al partito delle regole e del moralismo, come da consolidata abitudine. Chiunque passi in Parlamento da opposizione a governo s’erge pavidamente a duro paladino delle regole. Lo abbiamo visto nuovamente con l’attuale minoranza, che s’attacca anche ai “rave”, dimenticando d’aver invitato la gente a denunciare il vicino di casa che festeggia: era un momento di corale ignavia, sotto pandemia pecore d’opposizione e di governo pascevano unite. Consigliamo al ministro Piantedosi di dismettere l’abito da prefetto, di leggere gli atti dannunziani della Reggenza italiana del Carnaro, quindi la proverbiale lezione di Pasolini sui giovani e l’omologazione, casomai anche l’atto di proclamazione dell’Isola delle Rose da parte dell’ingegner Giorgio Rosa. Gli adulti devono tornare a comprendere cosa significhi essere giovani, sognare in maniera veloce atti di ribellione e libertà, quindi contrastare le regole dei vecchi, e di tutti coloro che in nome e per conto della normalizzazione borghese della società gradirebbero giovani lenti e vestiti come anziani, impediti nei movimenti e nella febbre di vivere la vita. Un giovane non può evitare di sognare di prendere a sberle le nuvole. La Patria è un sogno giovane in aperto contrasto con il pensiero vecchio dell’accumulo patrimoniale.

Giovani e vecchi (non sono affatto categorie anagrafiche) passa per la visione de “La rabbia giovane” di Terrence Malick: è importante capire o non dimenticare il connubio tra gioventù ed insoddisfazione, voglia di andare oltre e di desiderare (almeno per chi scrive) qualsiasi donna di variegate età, di correre a piedi od in moto, di menare chi ci contrasta. L’impressione è che per governare il mondo contemporaneo necessiti dimenticare d’essere stati giovani o, peggio, non esserlo mai stati per davvero. E si badi bene che non si vuole affatto inneggiare alla cultura dello sballo, all’affare della droga od alle orge come ragione di vita. Semplicemente testimoniare come i vecchi desiderino manipolare la vita e le scelte dei giovani, e non parliamo poi dei “vecchi di potere” che sognano di soggiogare tutta l’umanità. Da quando è iniziata la pandemia su giornali, tivù, social ed internet ci viene continuamente ripetuto di obbedire alle regole stabilite dal potere: una qualche voglia di ribellarsi potrebbe pure sbocciare nell’animo di pochi? E sono sempre troppo pochi. Nel capolavoro di Malick il ribelle viene condannato a morte e la sua amata data in sposa al figlio d’un vecchio avvocato: lezione chiara, cioè che i giovani sono vitali e forti ma alla fine vince il vecchio con le sue regole di morte. L’ingegner Giorgio Rosa che, il primo maggio del 1968, proclamava a largo di Rimini lo Stato indipendente dell’Isola delle Rose, veniva arrestato e bombardata la piattaforma in acque internazionali e con il permesso dell’Onu (i vecchi tutti d’accordo). Il Governo Giolitti, in nome della normalizzazione, ordinava al generale Badoglio (nume tutelare di tutti i vecchi) di tagliare ogni approvvigionamento di viveri ai fiumani di D’Annunzio e poi di caricarli a fucilate. D’Annunzio era riuscito ad arruolare nell’impresa sindacalisti rivoluzionari, anarchici, arditi, poeti omosessuali, avventurieri di buone letture e, soprattutto, militari che avevano combattuto per l’Italia: insomma un gigantesco “rave”. Ma i vecchi vincono sempre, soprattutto sanno stare a destra a sinistra ed al centro. Lo stesso Pasolini aveva previsto che attivisti, figli e nipoti del ’68 si sarebbero poi dimostrati borghesi omologatori e repressori: il processo al libro “Ragazzi di vita” di Pasolini vedeva in maniera trasversale uniti nella condanna destra, sinistra e centro; l’assoluzione in tribunale arriverà solo dopo le testimonianze di Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti. Essere ribelli ed avventurieri è un sentire che non possiamo negare al nostro animo. I giovani d’oggi vivono nella negazione della “Beat Generation”, e temono finire ai margini qualora rifiutino le norme imposte dai vecchi. Federico II di Svevia rimane scomunicato e bandito, con lui tutti i giovani ribelli e poco inclini a piangere dal Papa.

Torna in alto