Il brutto della trincea

 

Il brutto della trincea

A poco meno di due mesi dalla sua vittoria elettorale, la Meloni ha incassato il merito di aver funto da cartina di tornasole sui limiti sostanziali di questa democrazia e su cosa sia la vera natura delle forze che la sostengono. È bastato, per innescare il portento, che a capo del nuovo Governo, nato dalla libera espressione del voto dei cittadini (in un contesto che di ‘libero’, ad essere molto pignoli, ha soltanto il balletto delle apparenze) assurgesse una donna-di destra-della Garbatella, perché i Dem cominciassero a farsi prendere dalle convulsioni come certi vermi quando vengono sorpresi sotto una pietra, un Vajont in miniatura fatto di luce.

Dopo un lungo periodo di occupazione abusiva del potere, assunto (non esercitato) senza neppure la validazione del voto, che é la caratteristica saliente del sistema parlamentare, la Sinistra, posta di fronte alla propria sconfitta, ha reagito dando voce a coloro che l’hanno meglio rappresentata in questi anni di spaventosa siccità culturale: da Saviano che ha solennemente ribadito – gli occhi chiusi e la voce impostata come fanno i santoni – il proprio diritto ad insultare chiunque osteggi i nuovi negrieri che trafficano con l’Africa o che si discosti dal catechismo delle false Sinistre; ai Fazio, alla Murgia, ai Lerner e ad una nutrita pattuglia di altri personaggi la cui unica missione consiste(va) nel nascondere sotto il polistirolo del falso anticonformismo e del totalitarismo ideologico (il black matter, i gay, i trans, i minori e i minoritari e tutto il cucuzzaro del politicamente corretto) la scatola vuota della politica dei DEM: al più, una semplice cassa di risonanza dei sofismi messi proditoriamente in circolazione dai grandi sacerdoti del NWO. Uno di questi sofismi é, appunto, affiorato, senza più un perizoma o delle perifrasi che ne attutissero il significato, nelle manifestazioni degli studenti (parola grossa), organizzate sottobanco dalla CGIL, in cui si accusava l’attuale Governo di aver tolto dalla naftalina il termine ‘merito’, perché – così hanno detto i loro leader – la classificazione del profitto, normalmente operata attraverso un giudizio o un voto, é una pratica dalla quale discendono diseguaglianze e tragedie. La scuola, dunque, declassata ad una specie di oratorio, dove si va per stare insieme e per giocare a calcio -balilla, la scorciatoia fatta in discesa per ritrovarci tutti insieme appassionatamente tra una decina di anni alla stessa latitudine del Burkina Faso, o retrocessi al ’44, con l’unica differenza che invece di lucidare gli stivali agli americani, i nostri giovani si faranno assumere come sguatteri dai cinesi.

Debbo dire la verità: ce l’ho qui, non va né su né giù. Avrei dato per scontato che a fronte di questa surreale levata di scudi contro il ‘merito’- che di fatto giustifica il risparmio di parecchi miliardi di euro per mantenere sulle quattro ruote il carrozzone inutile della Scuola – si sarebbe mobilitata la ‘maggioranza silenziosa’ degli Italiani – quella così tanto silenziosa da trovarsi quasi sempre a pochi centimetri di distanza dall’omertà – e che almeno gli adulti uscissero allo scoperto dichiarando pubblicamente di aver tirato due calci nel sedere ai propri figli al loro ritorno dai cortei per una società mille volte peggiore sponsorizzati dai DEM o che sottolineassero per mezzo dei media come questa demenziale idea di scuola, che é già diventata tangibile realtà in diversi istituti, faccia il paio con una delle massime coniate dagli artefici del Movimento Cinque Stelle: quell”uno vale uno’, che, nello scorporare il merito dal curriculum delle persone, le mette tutte sullo stesso piano, il bibitaro di Pomigliano d’Arco con Talleyrand (accadeva ai tempi in cui Draghi filava) e ora con Enrico Mattei, a seguito della sua investitura come delegato dell’Unione per gli affari energetici coi Paesi del Golfo.

Tutto ciò si accompagna a due irrefutabili conseguenze. La prima é che la volontà popolare da cui é dipesa la rimozione di Giggino Di Maio, di un soggetto costituzionalmente incapace, da tutte le cariche della Repubblica, é stata bellamente azzerata da una decisione presa dalle conventicole di Bruxelles, a dimostrazione del fatto che i danni inferti a questo Paese dalla diffusa illusione che esso sia retto da un ordinamento democratico piuttosto che da una pletora di oligarchi camuffata bene, si moltiplicano all’infinito quando lo stesso fenomeno assume le dimensioni dell’Europa. La seconda é che se gli imbecilli prendono il sopravvento ciò significa che la politica, nella sua aristocratica accezione invalsa per saecula saeculorum, é un cadavere imbalsamato, lo stadio terminale di un processo che può dar luogo, se non é immediatamente interrotto, ad una sorta di ‘anarchia controllata’, al comando della Finanza internazionale.

La proclività a sillabare la Storia riducendola ad una serie di aneddoti e, quindi, a privarsi di ogni utile insegnamento per la corretta gestione dell’indomani, ha fatto passare in cavalleria un paio di episodi che testimoniano non solo delle difficoltà (e delle contraddizioni) cui andrà incontro questo Governo per essere ‘diverso’ (un po’ o molto, lo stabiliranno già i prossimi cinque o sei mesi) dalle ammucchiate arcobaleno che si sono susseguite per dieci anni intorno al PD.

A parte la mobilitazione nelle scuole di alunni ed insegnanti dovuta ad un riflesso condizionato (come per i topi, negli esperimenti di Pavlov) al semplice scoccare della parola ‘fascismo’ propalata dagli altoparlanti del sindacato, mi hanno fatto riflettere lo sgomento della Meloni per aver dovuto sacrificare all’autorità sanitaria l’intenzione di trattenere a bordo i clandestini di una nave corsara penetrata nel porto di Catania, e il proclama emesso da ‘Magistratura Democratica’ – quella, tanto per intenderci, in cui operava l’ineffabile Palamara – che avrebbe dato vita, da subito, senza frapporre il minimo indugio, ‘alla stagione di resistenza costituzionale al Governo Meloni’.

Mentre relativamente al primo caso appare evidente l’impossibilità per l’Esecutivo di procedere, nell’espletamento delle funzioni che gli competono, per linee rette, a causa delle ‘autorità’ piccole e grandi che incontra continuamente sul suo cammino e che lo obbligano talvolta a cambiare strada, (é l’inconveniente ineludibile di ogni democrazia), nell’altro si configura una fattispecie molto più grave – quella di un potere, dei tre contemplati dal manuale Rousseau, forse leggermente appassito – che reclama per sé il diritto di interferire nell’azione di Governo qualora ritenga che essa non abbia sufficiente riguardo per le regole della democrazia, sebbene con tale enunciazione le abbia mandate letteralmente in frantumi: uno sconfinamento che non é di oggi, benché sia esplicito e dichiarato, ma che ha assunto i tratti del vizio da quando le consorterie che si riconoscono nel PD hanno fatto ‘sistema’ allungando le mani su quanto conferisce potere reale, anziché limitarsi a rappresentarlo, come le banche , la pubblica istruzione, i media, e la magistratura, all’interno della quale hanno ricavato una nicchia a se stante, una sorta di tribunale speciale che esegue puntualmente il compito di neutralizzare il nemico, se si azzarda a mettere il naso fuori dalla trincea.

Nemico e fascista, nel glossario delle zecche ammaestrate, sono sinonimi, sicché é tempo perso e fatica sprecata tentare di spiegare che non si può essere fascisti solo perché si é attratti, come studiosi, dall’ inquietante originalità del Ventennio, o perché si assiste compiaciuti all’inizio della fine di questo regime, che ha del fascismo vero solo i connotati peggiori.

Il vero problema, per chi sta da questa parte, é quello di essersi assuefatti al braccio piegato a squadra sul viso – altro che braccio teso – e di aver passato tutta vita in trincea, dove fischia di traverso il vento e si prendono un sacco di acciacchi.

 

Immagine: https://www.lospecialegiornale.it/

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