La legge è uguale per tutti, tranne che per gli sconfitti

 

La legge è uguale per tutti, tranne che per gli sconfitti

La frase solenne scritta a caratteri cubitali: “la legge è uguale per tutti”, si può leggere in ogni aula di giustizia. Da anni tuttavia l’esperienza ci ha insegnato che ci sono cittadini e quindi imputati che davanti alla legge rimangono “diversi”. Nell’antico Egitto la Dea Maat, (“Giustizia”) che rappresentava i concetti di equilibrio e ordine, aveva il compito della pesatura delle anime (o pesatura del cuore) che avveniva nel Duat, l’oltretomba egizio. La sua piuma era la misura che determinava se l’anima (in cui si credeva residente nel cuore), del defunto avrebbe raggiunto l’aldilà o meno.

Da allora, iconograficamente il concetto di giustizia, viene rappresentato universalmente con una bilancia. Nel mondo materiale, invece a decidere della vita degli uomini, sono altri uomini, e qui sovente casca l’asino. Non sto a parlarvi dei casi di mala-giustizia, non basterebbe un’enciclopedia, con questa mia riflessione voglio fermarmi su un concetto. Le colpe decadono? e se si, perché solo per alcuni? Con le leggi sui “Pentiti”, fine dei termini di carcerazione, motivi di salute, e di età, milioni di assassini, stupratori, etc..dopo un determinato periodo di reclusione sono tornati in libertà, a mafiosi rei confessi di aver sciolto bambini nell’acido, è stato assegnato pure uno stipendio. Anziani criminali al sopraggiungere della terza età, sono stati rilasciati, e gli è stato permesso di passare gli ultimi anni di vita con i propri cari. Tutto è perdonato, o almeno “accettato”, tutto tranne una “appartenenza”. Germania, 22 novembre 2022, Irmgard Furchner,  un’anziana signora di 97 anni, in sedia a rotelle, imperturbabile sotto un cappellino rosso, attende il verdetto di un processo a suo carico. L’accusa è di essere stata tra il giugno 1943 e l’aprile ’45, appena 18enne segretaria nel campo di concentramento di Stutthof, in Polonia. La procuratrice Maxi Wantzen ha chiesto per l’ex segretaria 2 anni di reclusione. 

La “giustizia ?”  tedesca ha emesso diverse sentenze di colpevolezza nei confronti di anziani ritenuti “nazisti”. Tra questi Oskar Groening, un contabile ad Auschwitz, e Reinhold Hanning, entrambi condannati all’età di 94 anni  Ma  il primato per l’imputato più anziano  spetta a Josef Schuetz semplice guardiano tra il 1942 e il 1945 nel campo di concentramento di Sachsenhausen a Oranienburg, a nord di Berlino, processato (e condannato) all’età di 101 anni. Caso ancora più significativo è quello di Ursula Haverbeck, che non ha mai ricoperto nessun ruolo all’interno del partito Nazista.

Suo marito Werner Georg Haverbeck era un parroco di “The Christian Community”, durante il periodo nazista fu temporaneamente impegnato nella direzione del partito. Scrittore ed editore, specializzato in storia e folclore fu fondatore nel 1933 della “Federazione imperiale tedesca della nazione e della patria”. Ursula Haverbeck  nasce a Winterscheid  in Assia nel 1928, dopo la fine del conflitto, ha vissuto come sfollata  in Svezia. Ha studiato filosofia e pedagogia. Per oltre cinquant’anni ha lavorato all’ombra del marito. Con la morte di Georg,  avvenuta nel 1999, ne ha assunto le funzioni, tra cui la presidenza dell’istituto internazionale “Heimvolkshochschule Collegium Humanum”  a Vlotho, in Renania settentrionale-Vestfalia, che entrambi avevano fondato nel 1963. Il Collegium Humanum fu attivo soprattutto nel movimento ambientalista tedesco e dall’inizio degli anni ’80 si rivolse allo studio della storia. Dal 1983 al 1989, la Haverbeck è stata anche presidente “dell’Unione mondiale per la protezione della vita”, e in questa posizione ha espresso la propria opposizione al sistema occidentale e all’occupazione alleata della Repubblica federale di Germania.

È stata membro dell’ÖDP (Partito Democratico Ecologico). Nel 1992, è divenuta il primo presidente dell’Associazione: (Verein Gedächtnisstätte), associazione fondata per ricostruire un ricordo dignitoso per le vittime civili tedesche della seconda guerra mondiale, sterminate dagli alleati mediante i bombardamenti, e porre fine “alla natura unilaterale ingiustificata della visione della storia.”

Per queste attività nel novembre 2015, all’età di 87 anni, è stata condannata a dieci mesi di carcere per “negazione dell’Olocausto”.  Rilasciata dalla una prigione di Bielefeld alla fine del 2020, è stata di nuovo incriminata ed è in attesa di un nuovo processo. Ma l’accanimento giudiziario verso i “Nazinonni” come goliardicamente sono tacciati dalla stampa, non è appannaggio della sola Germania, anche in Italia fece discutere il caso di Erich Priebke, capitano delle SS in stanza in Italia. Nato a Hennigsdorf, una piccola cittadina tedesca a nord ovest di Berlino nel 1913, rimase presto orfano di entrambi i genitori e fu cresciuto da uno zio. Costretto sin da giovanissimo a lavorare iniziò a guadagnarsi da vivere come cameriere, prima a Berlino, poi a Londra e infine a Sanremo.

Nel corso della seconda guerra mondiale rimase sempre in Italia. Grazie alla sua conoscenza della lingua italiana venne inquadrato come interprete presso l’Ambasciata tedesca a Roma , sotto il diretto comando dell’Obersturmbannführer (tenente colonnello) Herbert Kappler, comandante del Servizio di sicurezza tedesco.

Il 23 marzo del 1944 un gruppo di uomini dei GAP, (Gruppi di Azione Patriottica), unità partigiane del Partito Comunista, preparò un attentato contro un reparto delle forze tedesche, l’11ª Compagnia del III° Battaglione “Polizeiregiment Bozen”, composto principalmente da Italiani, in quanto formato da reclute altoatesine. Una bomba di 18 chili, collocata in un carrettino da spazzini, esplose nel momento preciso in cui la compagnia percorreva via Rasella, provocando la morte di 33 soldati e due civili, tra cui un bambino di 12 anni. Fu il più sanguinoso attentato urbano antitedesco in tutta l’Europa occidentale. Dopo l’attentato, Kappler ordinò l’esecuzione di ostaggi italiani (nel numero di dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso), da fucilare nelle cave delle Fosse Ardeatine, nella zona extraurbana della Capitale, esecuzione a cui prese parte anche Erich Priebke.

Con la fine della guerra Priebke, si trasferì in Argentina a San Carlos de Bariloche, una cittadina 1 750 chilometri a sud ovest di Buenos Aires, dove rimase per quasi mezzo secolo con sua moglie Alicia. Divenendo direttore della scuola «Primo Capraro».

Qui fu scovato su segnalazione del Centro Simon Wiesenthal, nel 1994 da una troupe del programma “Prime Time Live” dell’emittente statunitense ABC. A causa dell’età avanzata e del precario stato di salute, le autorità argentine decisero, il non procedere con l’arresto, optando per la misura degli arresti domiciliari nella sua casa di Bariloche. Su forte pressione del governo Italiano e della comunità ebraica internazionale, l’Argentina fu costretto ad accogliere la richiesta di estradizione in Italia.

Il 7 dicembre 1995 si svolse a Roma l’udienza preliminare nel procedimento contro l’ex capitano, la procura militare chiese per Priebke il rinvio a giudizio per: “concorso in violenza”, per i fatti accaduti presso le fosse Ardeatine.  L’udienza terminò con un rinvio, a seguito della remissione della causa alla Corte Costituzionale sulla questione circa la possibilità di ammettere nel processo militare la costituzione in giudizio delle parti civili. Il 1º agosto 1996 il tribunale militare, pur riconoscendo la responsabilità dell’imputato, ritenne che allo stesso si dovessero applicare le attenuanti generiche, e dichiarò di: «non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione», e ordinò l’immediata scarcerazione dell’imputato. La sentenza suscitò le proteste della comunità ebraica di Roma, che diede vita a una manifestazione, guidata dal presidente Riccardo Pacifici, che costrinse i giudici a restare assediati in aula fino a notte fonda. La sentenza di assoluzione non venne mai eseguita, il giorno successivo infatti, Priebke venne nuovamente arrestato per una richiesta di estradizione presentata dalla Germania.

Il 14 aprile 1997, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, ebbe inizio il nuovo processo militare. Il 27 giugno il Pubblico Ministero concluse la sua requisitoria con la richiesta di un verdetto di colpevolezza e della pena dell’ergastolo . L’ultima sentenza, che chiuse l’iter processuale contro l’ex capitano fu emanata il 16 novembre 1998, quando la Corte di Cassazione si pronunciò per la conferma definitiva della condanna all’ergastolo.

La vicenda giudiziaria suscitò un grande interesse nell’opinione pubblica: Il giornalista Indro Montanelli, in una lettera scritta nella primavera del 1996, pur ricordando come la strage delle Ardeatine fosse costata la vita a due suoi «vecchi e cari amici», espresse dei dubbi sulla liceità del processo e di un’eventuale condanna dell’ex ufficiale.

«Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto […] Il processo si dovrebbe fare alle aberrazioni dei totalitarismi e a certe leggi di guerra che imponevano la rappresaglia. Certo: lei, Priebke, poteva non eseguire l’ordine, e in pratica suicidarsi. Questo avrebbe fatto di lei un martire. Invece, quell’ordine lo eseguì. Ma questo non fa di lei un criminale.»

Altri intellettuali che aderirono all’opinione di Montanelli furono Vittorio Feltri, Vittorio Sgarbi, Guido Ceronetti e Massimo Fini.

Erich Priebke è morto da prigioniero l’11 ottobre 2013 all’età di 100 anni. Lo stesso giorno il suo legale Paolo Giachini rivelò l’esistenza di un’intervista scritta e di un video “testamento umano e politico”, realizzati dall’ex capitano nei giorni a cavallo del suo centesimo compleanno e in cui Priebke, tra le altre cose, rivendicava con orgoglio il suo passato, sostenendo che l’attentato di via Rasella, operato dai Gruppi di Azione Patriottica comunisti, fosse stato perpetrato con l’intento di provocare una rappresaglia “che avrebbe potuto scatenare una rivolta della popolazione”.   Nei giorni seguenti la sua morte, la sua salma venne tenuta nell’obitorio del Policlinico Gemelli di Roma poiché il sindaco capitolino Ignazio Marino, vietò l’uso di qualsiasi spazio pubblico della città per lo svolgimento del rito funebre.

Il 15 ottobre 2013, giorno in cui si sarebbero dovuti celebrare i funerali, dopo il diniego del Vicariato di Roma allo svolgimento delle esequie nelle chiese della Capitale, la salma venne traslata presso l’istituto Pio X dei padri lefebvriani ad Albano Laziale. Dopo una giornata di proteste, con il carro funebre colpito con calci e pugni e l’aggressione ad un sacerdote, la cerimonia, venne sospesa dal prefetto. Il rito funebre fu celebrato in forma privata  presso la chiesetta dell’Istituto San Pio X durante la notte, (ai parenti accorsi dalla Germania e dall’Argentina fu vietato partecipare)  e, il corpo  fu trasportato all’aeroporto militare di Pratica di Mare. La salma di Priebke è stata tumulata in un luogo segreto, probabilmente nel terreno di un ex carcere, secondo alcuni in Sardegna presso il carcere di Isili, ma più probabilmente nel piccolo cimitero attiguo al carcere di Pianosa nell’arcipelago Toscano (chiuso nel 2011), anche se l’ubicazione è attualmente un “segreto di Stato”. Praticamente continuerà a restare in carcere per l’eternità.

Per le leggi dei vincitori del secondo conflitto mondiale, ogni colpa può essere emendata, tutto è “perdonabile”, dopo aver scontato una pena, o “condonabile” dopo un certo numero di anni, tutto meno aver perso una guerra. Agli Infoibatori di Italiani sul fronte carsico oltre al condono lo stato Italiano ha perfino attribuito medaglie e financo una pensione. Internazionalmente il “Centro Simon Wiesenthal” solerte ricercatore di “criminali nazisti” in ogni parte del globo, non si occupa dei criminali di casa propria, glissando sui propri connazionali artefici il  18 settembre 1982  del massacro di Sabra e Shatila, dove un non mai ufficializzato numero di  civili palestinesi e sciiti libanesi rinchiusi nello stadio “Citè Sportive” (fra 762 e 3.500) fu “passato per le armi”.

Spero che a prescindere di come si concluda l’iter processuale alla giovane contabile di Stutthof oggi novantasettenne la dea Maat pesi il cuore applicando il concetto di “Giustizia divina”, che dovrebbe essere la stessa per vincitori e vinti.

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