Di Milano capitale e Londrificazione: o di come l’autopercezione dell’eccezionalità di Milano ci aiuta nel capire le sfide del Paese


 

Di Milano capitale e Londrificazione: o di come l’autopercezione dell’eccezionalità di Milano ci aiuta nel capire le sfide del Paese

Il ritornello di Milano capitale, lanciato prima come meme da alcune pagine “lombardiste” come ritorno dell’odio contro Roma del mondo leghista e poi assunto come ipotesi di lavoro, è molto indicativo. Oltre che antico.

Antico perché, com’è noto, al momento dell’unificazione italiana la scelta di dove piazzare la capitale si trasformò nell’occasione di dibattere sulla natura geografica, spirituale e politica del paese che andavamo formando.

Roma fu scelta per tre ragioni fondamentali. La prima era la volontà di riconnettersi alla “Roma eterna” prima latina poi cattolica, come a volerne assorbire un poco il munus. La seconda era portare al corpo a corpo una lotta con la Chiesa che, allora, appariva la lotta fondamentale per la costruzione di uno Stato italiano. La terza era la sua centralità rispetto all’estensione Nord-Sud del paese.

In questa ridda la scelta di Roma equivaleva ad una scelta politica: l’Italia doveva essere politica da capo a piedi. Roma indicava che ci eravamo uniti per assolvere una funzione nella storia. Optava per Roma chi immaginava per l’Italia un’esistenza da grande potenza.

Le altre opzioni, soprattutto Torino e Firenze, avevano altri pregi ma erano scelte che consapevolmente abdicavano da questa decisione. Firenze sarebbe stata una Berna italica: scelta perché non si può odiare Firenze, ma senza la possanza necessaria a sostenere uno stato pienamente politico: molto più interessata a quella “paciosità” e “softpowerism,” come diremmo ora, garantiti dalla dimensione media della città e dalla sua scarsa propensione proattiva. Rappresentava anche una scelta ottima per quell’idea di italianismo cattolico che voleva insieme anche una certa quale tendenza al decentramento federale e al gioco difensivo.

Torino presentava altri problemi. Legata alla dimensione sabauda rimase sempre la città dei Savoia, che non legarono mai con Roma. Troppo decentrata, troppo alpina, troppo rinunciataria. Non divenne la città simbolo di nessuna famiglia politica. Sarebbe potuta forse esistere come capitale del Regno del Nord immaginato da Cavour, ma non come capitale italiana.

Milano soffrì questo scarto storico: che ai tempi era ancora nella pubertà cattolica ambrosiana, che supererà solo e soltanto col primo ‘900. Preparati dai cannoni del Bava-Beccaris, i decenni iniziali del ‘900, infatti, sono tutti milanesi: le occupazioni di fabbriche, le mobilitazioni del Maggio radioso, poi l’attività di Mussolini e i primi veri esempi di squadrismo urbano. Nel 1860-1870 era però ancora virtualmente minorenne.

Il ritornello di Milano capitale è, però, anche indicativo. Indicativo di una coscienza ormai giunta al suo apice: se fino agli anni ’80 Milano poteva essere un centro Primus Inter Pares, dopo ha introiettato la sua superiorità economico-sociale su tutto il resto. Torino decaduta, Roma imbottigliata e Napoli come sappiamo, Milano ha preso coscienza di se’ con la “Milano da bere”: prima questa presa di coscienza ha avuto un esito “politico” nella doppia veste del leghismo (che con Milano ha sempre avuto un rapporto agrodolce sul freddo andante) a destra e del “Radicalchicchismo” della borghesia di sinistra milanese. Ad una prima fase in cui, realisticamente, Milano ha provato a dettare i ritmi del paese usando gli strumenti romani, è arrivata ora la nevrosi della seconda (falsa) presa di coscienza: l’idea di essere capitale giocando una partita propria.

È qualcosa che in Europa s’è già visto. Potremmo chiamarla “Londrificazione”: Londra vive un’Inghilterra tutta propria, la Brexit l’ha dimostrato. Londra è una global city che si pensa con categorie tutte proprie e vive un rapporto di ostilità col paese che la ospita. Sa di essere la porta del mondo del suo paese e grazie alla finanza ritiene di intrattenere legami col mondo indipendentemente dal paese di cui è capitale.

La “Londrificazione” di Milano è sotto gli occhi di tutti. Milano ha acquisito la consapevolezza di essere l’unica vera metropoli italiana che attrae alto valore aggiunto, che si è liberata di qualsiasi dimensione locale apprezzabile, che è orgogliosa a suo modo di vivere completamente i problemi delle Alphacity internazionali. Politicamente la “Londrificazione” si riassume in tre processi: destoricizzazione, denazionalizzazione, depoliticizzazione.

Destoricizzazione perché la grande città incastrata in un paese che va ad una velocità inferiore pensa di star costruendo il mondo del futuro che è privo di scontri, che è privo di grandi destini se non quello di progredire ad libitum. Milano infatti è scarsamente politica: le grandi manifestazioni si fanno ancora a Roma. A Milano ci si occupa in modo ossessione di problemi tutti propri che poi si ritiene di dover collocare in cima alle agende di tutti perché la nazione non può che vederci come simulacri di ogni cosa: il mercato immobiliare milanese, le baby gang, ecc. In particolare l’ossessione immobiliare è un segno tangibile di questo stadio di sviluppo: accumuna Milano a Shangai, Londra, Mosca, ecc.

Denazionalizzata perché Milano interloquisce per conto proprio ormai col resto del mondo. Vedasi querelle sulle Olimpiadi e prima ancora sullo scarso sostegno romano alla candidatura milanese ad esser sede dell’Agenzia del Farmaco. Qui lo sviluppo stadiale di un soggetto urbano che ragiona già in termini di “fornitrice di modelli” e da “Città Stato” si lega alla tradizione antichissima tutta italiana del comunalismo competitivo.

L’idea di Milano come “capitale ombra” d’Italia, “tesoro bistrattato” e come “Città-Stato” autonoma e lo sviluppo che questa idea sta autoproducendo nella testa dei milanesi e degli italiani è un’ottima cartina al tornasole dello stadio di autocoscienza al quale l’Italia arriva nell’accorgersi del suo sviluppo ineguale. Il modo in cui il paese reagirà alla voglia di Milano di giocare una partita a sé dirà tanto su quale fibra vogliamo dare al paese.

L’Inghilterra ha avuto la Brexit che ha freddato gli animi e assistito un colpo micidiale ai londoneers. Si è trattato della vittoria della politica statale sul comunalismo. Qui in Italia la sfida è molto, molto più intricata però.

Roma è indisponibile ad offrirsi come modello credibile contro Milano. La politica italiana ha un livello tale di commissariamento che non può combattere una guerra contro la propria città pulsante e vincerla. Roma è stata fortunata: se Milano e la Lombardia avessero avuto una gestione migliore del Covid probabilmente questo spirito comunalistico avrebbe avuto ben altri ruggiti adesso.

Il Governo Meloni deve, insieme, ristoricizzare questo paese – la retorica e il presidenzialismo paiono andare in codesta direzione – e questo vuol dire fornire strumenti nuovi al potere centrale (romano) e, insieme, modernizzare il paese, che vuol dire un po’ milanesizzarlo.

Come si possano ottenere questi due processi assieme non lo so. Ridare poteri a Roma intesa come ministeri non può che essere una mossa percepita come antimilanese, a questo stadio di sviluppo della coscienza politica milanese. I leghisti provarono paradossalmente a diluire il problema con l’idea di spostare alcuni ministeri in alcune città del Nord: un’idea bislacca ma che almeno poneva il problema di deromanizzare lo Stato. Un processo su cui forse, per mettere insieme le due tendenze necessarie all’Italia (ristoricizzazione/Roma e modernizzazione/Milano) non è del tutto inutile.

 Immagine: https://edition.cnn.com/

 

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