La marcia su Roma della destra postfascista (II)
Nel 1964, Julius Evola pubblicava Il fascismo. Saggio di un’analisi critica dal punto di vista della Destra – poi aggiornato nel 1970 con le Note sul Terzo Reich e con il titolo complessivo Il fascismo visto dalla destra. Il libro usciva in un momento in cui la riflessione storiografica sul fascismo era dominata dalle interpretazioni azionista e liberale, oltre che da quella marxista e più che di storia si trattava della “mostrificazione” del fascismo inteso come male assoluto, nei confronti del quale l’atteggiamento, non solo morale ma anche scientifico, non poteva e soprattutto non doveva essere qualcosa di diverso dal disprezzo. Evola si poneva certo in antitesi a questa lettura distorta, superficiale e politica nel senso peggiore del termine, ma anche in antitesi alle letture tipiche del mondo ex o post fascista: dal nazionalismo al cattolicesimo; dal gentilianesimo al totalitarismo. Così come rifiutava la continuità del fascismo con la storia risorgimentale, oltre al corporativismo e alla sua variante socializzatrice, di quella Rsi alla quale, com’è noto, Evola non aderì. Alla destra ex o postfascista, Evola rimprovera proprio la mitologizzazione del fascismo che contrapponeva allo stereotipo del “male assoluto” delle forze antinazionali, l’immagine di un regime i cui unici errori erano imputabili alla volontà di aderire al tardo alleato nazionalsocialista che aveva determinato l’allontanamento dalla tradizione politica italiana. Ragione del successo, fino a quel momento, del regime. In questo modo, si era spostato l’interesse e il focus della lettura del fascismo su Mussolini e le sue scelte dovute alle contingenze storiche, anziché considerare le idee politiche espresse dal fascismo in sé stesse, indipendentemente da ogni condizionalità.
L’analisi di Evola, quindi, benché fortemente critica verso il regime mussoliniano, costituiva pure il primo serio approccio, non a caso da destra, al fascismo considerato come fenomeno storico e non come feticcio sul quale scagliare ogni maledizione e vituperio. E in questa analisi, il fascismo si presenta possibile e necessario solo perché in Italia mancava una monarchia di tipo sacrale che incarnasse e perpetuasse quei valori che Evola considerava precedenti e superiori al fascismo stesso. Il fascismo si configura perciò come un “male minore” dovuto a lacune del passato che occorreva colmare. Per Evola, il significato fondamentale del fascismo è stato quello di aver costituito una reazione, che prendeva le mosse dalle forze del combattentismo nazionale, a una crisi che era in definitiva la crisi dell’idea stessa di Stato, dell’autorità e del potere. La Marcia su Roma rappresentò una salutare reazione allo Stato laico-massonico, a un governo demo-liberale e a una monarchia depotenziata. Il merito del fascismo, per il filosofo della Tradizione, è infatti quello di aver rialzato in Italia l’idea di Stato e di aver creato le basi per un governo energico, affermando il principio dell’autorità e della sovranità.
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