Lo scandalo delle tangenti del Qatar gentilmente devolute agli europarlamentari ha fatto emergere una vergogna nella vergogna: quella del sovraffollamento carcerario in Belgio. Tanto che i magistrati italiani hanno preso tempo sull’estradizione a Bruxelles della figlia di Panzeri (uno dei principali beneficiari delle mazzette targate Qatar): la difesa della donna ha sottolineato come la vita, nelle carceri belghe, sia praticamente un inferno, proprio a causa del sovraffollamento e, dunque, quanto l’estradizione appaia del tutto inopportuna.
Ci saremmo aspettati, perciò, che – prendendo spunto dalla situazione belga – qualcuno, sui giornaloni o in tv, avesse sollevato il problema della vita nelle carceri italiane. E, invece, nulla di nulla, malgrado i penitenziari italiani siano diventati, ormai, qualcosa di indescrivibile. Secondo il 18esimo rapporto dell’associazione Antigone, divulgato ad aprile dello scorso anno, il numero delle persone detenute, ufficialmente, superava del 107% i posti regolamentari (ma la situazione è anche peggiore, perché nei posti regolamentari vengono conteggiati anche reparti chiusi per manutenzione). E il sovraffollamento è solo una delle piaghe dei nostri penitenziari: c’è, ad esempio, il problema legato alla scarsa possibilità che i detenuti hanno di lavorare sia all’interno che all’esterno. Ancora, gli agenti penitenziari sono sempre meno e in condizione di perenne pericolo, mentre i suicidi, nelle carceri italiane, hanno assunto le dimensioni di una strage, essendo arrivati addirittura a 82 nel corso del 2022 (e l’anno non è ancora finito).
Come si comprende, parliamo di un comparto letteralmente abbandonato al suo destino dallo Stato e dai parlamentari tutti (o quasi), che “schifano” le carceri, salvo accorgersene quando avvengono episodi gravi, come l’evasione natalizia dal penitenziario minorile “Beccaria” di Milano. Allora, i politici, in coro, dicono che “non si può più andare avanti così”, che “il sistema carcerario va riformato subito” e che “gli istituti di pena vanno resi moderni e sicuri”.
Parliamo degli stessi politici che, quando qualcuno chiede interventi per migliorare i penitenziari, alzano le spalle, come a dire: “Chi ha sbagliato paghi. E chissenefrega della situazione delle carceri, del sovraffollamento e del fatto che la rieducazione sia una chimera”. Politici che non pensano neanche per un momento di recuperare le decine di scheletri di cemento, sparsi in tutto il Paese: strutture carcerarie iniziate e mai portate a termine, oggetto di tante trasmissioni televisive, ma, in concreto, abbandonate al loro destino. “Non ci sono i soldi per completarle”, è la risposta a chi chiede il perché di quello scempio.
Sappiamo bene che l’appello a occuparsi davvero dei penitenziari, affinché diventino luoghi civili, dove chi ha commesso errori sconti la giusta pena, ma abbia anche l’opportunità di riabilitarsi, per poi rientrare a far parte della società, resterà un urlo nel silenzio generale. Ma, di fronte alla crescita esponenziale dei suicidi (che, badate bene, riguardano anche gli agenti penitenziari, non solo i detenuti), stare zitti significa essere complici di chi, di fatto, crea le condizioni affinché questi drammi si compiano.
È per questo che alla fine del 2022 – un altro anno passato inutilmente, per chi aspetta segnali sul fronte del miglioramento dei penitenziari – riteniamo giusto denunciare, ancora una volta, l’inciviltà di un Paese che ignora le carceri e tutti coloro che le popolano, per scontare una pena o per lavorarci. L’auspicio è che il nuovo Governo – nel quale molti hanno riposto speranze finora disattese – dia un segnale forte su tale fronte. Sarebbe, almeno questo, un elemento importante di discontinuità rispetto a chi – negli ultimi decenni – ha contribuito, in modo colpevole, al totale degrado del sistema carcerario italiano.
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