La Marcia su Roma della destra postfascista (V)


 

La Marcia su Roma della destra postfascista (V)

Non casualmente, la Marcia su Roma appare ad Adriano Romualdi anche come un fenomeno generazionale; di quella generazione che usciva dalle trincee, con una mentalità più energica e sportiva. La Marcia su Roma fu anche la rivolta dei giovani che aspiravano a un mondo nuovo contro la vecchia generazione che restava, dal canto suo, ancorata a un mondo sconfitto nella Grande Guerra. Invece, al 28 ottobre, espressione di un fascismo d’azione, espressione della piccola borghesia soprattutto settentrionale, fece seguito un’involuzione dettata dalle forze borghesi meridionali, retoriche e umanistiche, fino a una degenerazione burocratica che, negli anni Trenta, si appiattì sul culto del Duce, per concludere la sua parabola storica nel fascismo saloino che tentava di recuperare lo spirito delle origini.

Evidentemente le simpatie di Romualdi vanno al fascismo espresso dalla Marcia su Roma, in cui confluirono gli ex combattenti oltraggiati dalle forze nazionali; gli studenti attratti dagli ideali nazionalisti e dalla speranza di un’Italia che occupasse un ruolo importante nella storia; la media e la piccola borghesia spaventata dalla violenza anarchica della sovversione rossa; e infine i piccoli proprietari e i fittavoli minacciati, dai “rossi”, di confische e di collettivizzazioni. Un fascismo di questo tipo è infatti l’unico attualizzabile politicamente, in quanto costituisce una risposta sempre pronta e possibile nel momento in cui l’antinazione – al tempo delle considerazioni di Adriano Romualdi rappresentato dal comunismo – minaccia i valori tradizionali sui quali si è edificata la civiltà europea. Altra cosa è il regime, in virtù dell’alleanza con le forze conservatrici – la monarchia, l’esercito e, dal 1929, la Chiesa – la cui politica diventava quella dello spegnimento delle tendenze rivoluzionarie e l’affermarsi del ducismo, sia pure con il fiume carsico del diciannovismo, della rivendicazione dei valori eroici e militari, che affiorava ogni tanto. Tuttavia, e qui si evidenzia la distanza da Evola delle considerazioni romualdiane, mentre per il primo il compromesso costituisce la sconfitta, prima che storica, ideale del fascismo, per Adriano Romualdi il compromesso con le forze prefasciste viene storicamente giustificato. Come avrebbe potuto, infatti, il fascismo richiamarsi all’unità nazionale italiana senza rispettare Casa Savoia che di quest’unità era il simbolo? La stessa politica d’intesa con il Vaticano non risponde solo a esigenze tattiche, ma alla convergenza strategica su di un terreno “spiritualistico”, remoto al laicismo liberale e al materialismo marxista.

 

 

Immagine: https://www.barbadillo.it/

Torna in alto