Un sabato italiano

 

Un sabato italiano

“Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”, diceva il politico e filosofo britannico Edmund Burke, la storia umana e politica di una nazione, è spesso ciclica, e solo la conoscenza, può impedire di cadere negli stessi errori. La vittoria nelle recenti elezioni politiche ed amministrative del centrodestra, e nello specifico di Fratelli D’Italia, percepita (purtroppo sbagliando) dalle sinistre come erede del M.S.I. e di conseguenza del Fascismo, sta riportando nel nostro paese, la cosiddetta “Strategia della tensione”, quella strategia, sviluppata negli anni 70 nelle sedi dei servizi segreti italiani e soprattutto statunitensi, con lo scopo di fomentare le violenze fra gli opposti estremismi, e che Giovani “Fascisti”, giovani “Comunisti”, e giovani membri delle forze dell’ordine resero tangibile con il loro sangue, versato spesso inutilmente per far sì che nessuno ne da destra, né da sinistra, potesse intralciare percorsi politici prestabiliti.

Firenze, 4 marzo 2023, la neoeletta segretaria del Pd Elly Schlein, e il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, si sono messi alla testa di una (imponente, secondo la stampa di regime) manifestazione “Antifascista”, resasi necessaria secondo la vulgata a seguito dei fatti del liceo Michelangiolo, dove sabato 18 febbraio è avvenuta una baruffa fra alcuni ragazzi di “Azione studentesca”, ad altrettanti giovani dei centri sociali, risoltasi con 2 sganassoni presi dai secondi. Dalle ricostruzioni pare fra l’altro che i giovani di Azione studentesca, siano stati aggrediti, e che quindi si sia trattato di “legittima difesa”, circostanza ritenuta ininfluente, e spacciata unilateralmente come: “Aggressione Fascista”, e come tale necessaria di mobilitazione generale da parte delle forze “Antifasciste”, Pd, Movimento 5 stelle,  A.N.P.I, sindacati, e la galassia pseudo anarchica,  i cui membri, che più o meno nelle stesse ore stavano devastando Milano. Fra i cori, slogan tipo “Viva le foibe, il compagno Tito ce l’ha insegnato, ogni fascista va infoibato”, e fra gli striscioni le scritte “Meloni, fascista, sei la prima della lista”, e l’ormai classica “Uccidere un Fascista non è Reato”.

Il tutto a 40 anni di distanza dall’ultimo brutale omicidio, che apparentemente pose fine a suddetta strategia, l’assassinio di Paolo Di Nella avvenuto a Roma nel febbraio 1983. Paolo all’epoca aveva diciotto anni, e militava nelle fila del “Fronte della Gioventù”, organizzazione giovanile che stava al M.S.I. come Azione Studentesca sta a “Fratelli D’Italia”.  Nella notte del 2 febbraio 1983 insieme ad una amica e militante Daniela Bertani si accingeva ad affiggere alcuni manifesti del Fronte, in viale Libia.  Due giovani apparentemente in attesa di un autobus alla fermata Atac (anche se a quell’ora gli autobus non passavano più) gli si avvicinarono, sferrandogli un colpo netto alla tempia con un oggetto contundente, probabilmente una chiave inglese, dopo sette giorni di coma Paolo di Nella morirà il 9 febbraio 1983.

Quella morte, più di ogni altra precedente, scatenò un forte sentimento di solidarietà, da parte delle istituzioni e degli avversari politici, perché fu una morte, “Fuori tempo Massimo” quando ormai le trame del futuro dell’Italia sembravano già scritte.

Nei 7 giorni del Coma si recarono in ospedale a rendere omaggio al giovane missino, l’allora Sindaco di Roma, Ugo Vetere, e persino il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che pure non aveva mai avuto remore a far uccidere Fascisti, e che poteva vantare una amicizia con l’infoibatore di Italiani Tito. Arrivò ai familiari anche un telegramma del segretario del PCI, Enrico Berlinguer. Giuliano Ferrara il 6 febbraio scrisse su Repubblica: “Abbiamo i titoli per dire che per noi questa non è la morte di un fascista, ma la morte di un uomo.(..) se questo scelse di dirsi fascista e concepì per la sua vita futura di vivere da fascista, ebbene, aveva il diritto di scegliere e di vivere così.”

Il 14 febbraio Autonomia Operaia rivendicò l’attentato con un volantino. Dopo 40 anni e vari gradi di processi, gli assassini di Paolo sono ancora in libertà. Il 9 febbraio 2015, durante la commemorazione radiofonica trasmessa da “Radio Bandiera Nera” la web radio di Casa Pound è intervenuto Gianni Alemanno, ricordando i momenti del funerale: “Al funerale di Paolo c’era la galassia intera della destra romana del 1983, (..) C’era anche chi probabilmente avrebbe fatto meglio a restare a casa… ma c’eravamo noi, i Settantottini, i bravi ragazzi come Paolo, i mitici nazionalrivoluzionari che con gilet e Ray-Ban neri uscivano dalle sezioni a vivere Roma. Eravamo tutti lì, (..) un bosco di braccia tese che cantava I giardini di marzo”.

Dopo quel tragico funerale, la lotta politica, prese altre strade, gli scontri fisici, anche a causa della politica di svirilimento dei giovani, andarono assottigliandosi, e molti attori di allora,   abbandoneranno la militanza, finendo per rintanarsi nel privato, proiettati verso un futuro “altro”, verso la famiglia, o verso la realizzazione dei propri percorsi di vita, anche artistici.

Quest’anno ricorre il quarantennale anche di uno storico album della musica italiana, scritto da uno di quei ragazzi. Nel 1983 infatti esce nei negozi di dischi l’album “Un sabato italiano” dell’allora  ventinovenne cantautore romano Sergio Caputo.

Sergio Caputo nasce Roma, 31 agosto 1954,  tredici anni impara a suonare la chitarra e intorno ai sedici con alcuni amici forma un gruppo, di cui è chitarrista e cantante e con il quale suona ai piccoli festival organizzati dalle scuole. Ha sempre considerato la musica come un hobby, anche dopo le prime esperienze discografiche, tra cui si ricorda un isolato 45 giri del 1978, “Libertà dove sei” dove canta: “….di una cosa son sicuro, certamente tu non sei/ nei salotti dei borghesi o nei ghetti dei Plebei….” Dirigente Romano del Fronte della Gioventù, nel 1973 Caputo era ideatore, grafico e vignettista del periodico “Alternativa”  diretto da Teodoro Buontempo, ispirata sia nel nome che nei caratteri grafici ad «Alternative», l’analoga esperienza francese animata da Jack Marchal. Suo un particolare uso dei caratteri grafici e l’uso di storie a fumetti firmati semplicemente “Sergio”, che precorrevano lo stile usato anni dopo dalla fiorentina “La Voce della Fogna” di Marco Tarchi. Già in precedenza aveva curato la grafica di “Giovani Contro”, un mensile politico diretto da Federico D’Errico. Basta dare un’occhiata a una delle copertine realizzate da Sergio per Alternativa, per comprenderne lo spirito di quegli anni. Nessuna concessione ai vizi, ai tic, ai riflessi condizionati della destra nostalgica. La sua era una battaglia non conformista, contro la società dei consumi, contro la repressione psicologica operata dai persuasori occulti, contro la staticità delle ripartizioni politiche, contro la reazione, contro il liberalismo, contro il livellamento,  in un suo articolo Sergio si schierava senza esitazione dalla parte della contestazione del ’68. Oltre Evola e più di Evola Caputo si ispirava ai miti della Beat Generation, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Charles Bukowski. Gregori Corso, e soprattutto ai cantos di Ezra Pound. Battuto alle elezioni del Fronte della Gioventù romano da Teodoro Buontempo, del 1976, abbandonerà definitivamente la militanza politica, trasferendosi a Milano, dove metterà a frutto la sua esperienza grafica come Art Director pubblicitario.

Caputo disegnava (e cantava)  le storie dei giovani di inizio degli anni ’80, l’accettazione del disincantato, la sfida di una società in crisi in cui soldi e successo sembravano essere gli unici obiettivi. Le sue storie viaggiavano all’insegna della leggerezza e dell’ironia, non ancora disposto ad integrarsi ma, sotto sotto, deciso ad aprirsi una strada e trovare altrove una propria dimensione individuale dopo il lungo coprifuoco degli anni ’70. Sono gli anni in cui l’Italia trova la sua: «respirazione artificiale per resuscitare il vecchio buon umore». Una boccata d’aria in grado di far superare i legami, talvolta ingombranti, con il decennio precedente. Come ammetterà lo stesso Sergio cantando parole tutt’altro che casuali: «Io con questa faccia e il mio passato da dimenticare». 

A Milano, Caputo pubblica un mini LP per la Dischi Ricordi. La fama arriverà solo nel 1983  quando pubblica per la CGD l’album “Un sabato italiano”. Si delinea da questo momento un personale stile musicale che si rifà al mambo e allo swing degli anni cinquanta. Nel 1984, pubblica l’album “Italiani mambo”, e decide di dedicarsi a tempo pieno alla musica. Negli anni successivi pubblicherà tre album: “Sogno erotico sbagliato” (1990), “Egomusicocefalo” (1993 ) e “I Love Jazz”nel 1996.

Dopo il tour del 1999 si trasferisce in California dove diventerà un ricercato Jazzista.

Dal 12 Aprile di quest’anno, Sergio, ritorna in Italia per un Tour celebrativo del quarantennale del suo brano più Conosciuto. La prima data è a Milano il 12 aprile, per poi fare tappa il 26 a Roma all’Auditorium Parco della Musica. «Il mio “Sabato italiano” sarà stato pure qualunque ma resiste da quarant’anni (..) non so come fossero quelli degli altri, posso parlare dei miei, spericolati come lo erano del resto gli altri giorni della settimana. (..) Furono anni che ci spinsero fuori dal tunnel dei 70,  che nel nostro paese erano stati anni di lotte sociali, politiche, violenza, terrorismo. (..) Una sete di vita che ti spingeva a vivere al massimo, (..) mi dividevo tra la musica e il lavoro “vero”, quello di art director di una grande azienda pubblicitaria con un cluster di clienti importanti curati proprio da me, dalla Perugina alla Heineken. Il tabellino di marcia prevedeva: mattina e pomeriggio in ufficio fino alle 18,30, ritorno a casa per dormire con sveglia impostata alle 23, schizzavo fuori dal letto e in giro tutta la notte per locali, veloce passaggio da casa poco dopo l’alba e ingresso in ufficio. Durò per qualche annetto. (..) Facevo una vita talmente sregolata che non pensavo neanche di arrivare a 35. Ero molto selvatico,(..) avevo preso la vita così, non mi vedevo vecchio, non pensavo che sarei sopravvissuto. La musica mi aiutava anche a fare il pubblicitario, perché i miei colleghi era gente che si frequentava fra loro, spesso a casa, delle cose ne sentivano parlare. Io invece da musicista ero sempre in giro, vedevo persone diverse, come si vestivano, osservavo i trend, i linguaggi. Ascoltavo di prima mano la musica nuova, che non era neanche ancora uscita in Italia. Le due cose insieme mi davano allora, e ancora mi danno, una visione più smaliziata delle news, per esempio: capisco i meccanismi, scompongo le frasi, guardo il messaggio finale e capisco come è stato costruito».

Con la morte di Paolo di Nella, i sabati di molti di noi divennero realmente “qualunque”, senza la paura di essere sprangati sotto la porta di casa, uccidere un Fascista, era diventato reato, la fine della guerra fredda aveva perfino allontanato il timore della bomba atomica, “Sergio” ci aveva detto con la sua canzonetta, che “Il peggio sembra essere passato”…o no.

 

Immagine: https://www.adhocnews.it/

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