Voglio provare a raccontarvi una storia, una fiaba, forse, di quelle care a Pietrangelo Buttafuoco, che saprebbe raccontarla certo meglio di me, erede di quel mondo di cantastorie che incantavano bambini e adulti con l’opera dei pupi. E la dedico, fra i tanti, all’autore de La memoria bruciata, creatore del Bagaglino – dove ho trascorso serate in sincera allegria e di cameratismo -, soprattutto cantore di quella Canzone strafottente che tutti abbiamo cantato con il primo suo endecasillabo ‘Le donne non ci vogliono più bene’. E lo ricordo, Mario Castellacci, con la barba folta e grigia, una camicia a quadri rossi e bianchi, simile a tovaglia di cucina, la voce e il sorriso capaci di coinvolgere, irretire i miei alunni.
Mi confidava Franck Coppola, don Ciccio o Franck Tre Dita, mentre si passeggiava in cortile – avanti e indietro, carcere di Regina Coeli – come il povero puparo venisse assediato nella sua dimora perché il traditore Gano di Maganza non pagava il giusto per il suo reato, il più infame, quello a cui non può darsi perdono e tanto era lo sdegno che si vedeva costretto cambiare finale…
Dunque… Una sera il vento raggiunse il giardino di periferia della grande città dove, da una fontanella, sgorgava lenta e sicura la sua amica, l’acqua. A ridosso, su una panchina dalle assi consunte e la vernice scrostata, sedeva l’Onore. Le ombre del tramonto quasi ne confondevano il tratto d’eterno fanciullo. Era l’ora di chiusura del grande cancello di ferro battuto e l’ultimo ospite, un piccolo cane condotto al guinzaglio da un anziano signore appoggiato al bastone, si avviava all’uscita.
Sono in ritardo, lo so, amici miei. Però non dovete mai diffidare. Ovunque voi andiate, sempre mi trovate vicino. Basta che sollevate il coperchio di una minuscola scatola di fiammiferi ed anche lì, impercettibile, io ci sono. In ogni luogo, in ogni gesto sarò a farvi compagnia. Aggiunse l’acqua con voce cantilenante. Oh compagno di tante avventure, ricordi quante volte hai riunito le nuvole e le hai addensate in cielo? Ecco che io apparivo in forma di pioggia, di gocce sempre più fitte. E piegavi le cime degli alberi e scrollavi le foglie di colore d’oro mentre io scorrevo dai monti verso il piano. Ovunque tu sei, io sono. Non c’è dubbio. Fu, allora, che l’Onore passò le dita fra i capelli mossi, sollevò il capo e con un filo di voce, quasi un sussurro, ammonì: Fate attenzione a non distrarvi perché, una volta che mi avete perso, poi non mi trovate più.
A questa storia, che è poco più di una favola, si potrebbero aggiungere a far loro compagnia gli altri due elementi, la terra ed il fuoco. ‘Le radici profonde non gelano mai’, sosteneva Tolkien. Beh, anche loro si necessitano per rendere sicuro il passo e ravvivare la notte bevendo buon vino e cantando di gesta eroiche e di amori perduti. Quanti i solstizi, lassù, fra i monti Lepini. Poi, in piedi e a braccio teso, levare il canto della fierezza e della speranza, in attesa del sorgere dell’aurora a venire, ‘Morgens ist mein’… L’Onore, appunto.