Gli eroi “cialtroni”

 

Gli eroi “cialtroni”

Rispolvero, anche in senso letterale, alcuni dei libri che mi riportano alla montagna, a lunghe passeggiate per prati erbosi, aria frizzante, cielo terso, qualche escursione con il fiato grosso e il sudore che cola lungo la schiena, raggiungere mete tutte tue, una radura, la sporgenza di una roccia, quell’albero che solitario svetta provocante sullo strapiombo. E il demone del piccolo borghese, che si annida, demone maligno a sussurrarmi come non ne valga la pena perché in città c’è l’autobus e la macchina e la metropolitana e il passo reiterato e piano sull’asfalto sicuro.

Menzogne, lo so, ma allettanti quando i muscoli sembrano cedere e, viandante in sola compagnia di te stesso, ti dici che tanto nessuno ti vede ti giudica ti disprezza… Ti metti in gioco e non è poco. Non ci sono i bastoni le barricate lacrimogeni e molotov, adrenalina a mille, spalla a spalla, non si cede un passo, in alto i cuori e in alto minacciosa la spranga, l’urlo liberatorio in nome del dio ‘Odino!’ del ‘Boia chi molla!’. Non c’è specchio ove confrontare l’incalzare e la vittoria dell’anagrafe. Solo cielo e terra. Tu, asse del mondo, tra l’essere nell’eterno e il tuo divenire nel tempo.  

Tra gli scritti di Julius Evola non può mancare Meditazioni delle vette, Edizione del Tridente, edizione 1986, la raccolta degli articoli apparsi su varie riviste negli anni Trenta. Qui l’ascesa si rende ascesi. Scrive lapidario: ‘E’ l’ora delle altezze solari e della grande solitudine’. E, tramite la purezza e la libertà che si conquista e ci si immedesima, ecco avvertire il soffio dello spirito a spazzare via i troppi -ismi della vita borghese e, ancora indistinta, percepire l’idea grandiosa e più autentica dell’Imperium… Divago, lo so, m’incarto, scadendo in retorica, e mi rituffo in atmosfere da lungo tempo abbandonate ad algidi panorami, mentre la mente ed il cuore mi suggerivano e mi ruggivano oceani di fuoco, scene di lotta e di battaglia, di sbarre e chiavistelli. Eppure qualora si scelga la montagna, non si può abbandonare la tentazione di percepirla sì come avventura, ma anche via di liberazione. Soprattutto questa ultima.

Ecco di Maurice Herzog Uomini sull’Annapurna, edizione Garzanti 1952, al quanto malconcio, un classico appassionante e coinvolgente, direi, salgariano in alcune sue pagine, commosso e commovente nella sua conclusione. ‘La montagna è stata per noi una palestra naturale dove, giocando ai confini della vita e della morte, abbiamo trovato la libertà che oscuramente cercavamo e di cui avevamo bisogno come del pane’. E, mentre lo portano sulla via del ritorno in una rudimentale lettiga, con le mani fasciate, le dita perse sangue pus, può continuare ad annotare: ‘La montagna ci ha elargito le sue bellezze che ammiriamo come ingenui fanciulli e che rispettiamo come un monaco l’idea divina’.                                        

Lo confesso: prediligo questo far coabitare spirito d’avventura, il senso vivo della carne, pur se condannata dal congelamento alla putrefazione ai sentimenti allo stupore allo smarrimento questo esitare… ai documentari ‘leccati’ alle settimane bianche all’ordine meticoloso dei colori delle tute degli sci. I miei eroi sono sempre stati un po’ cialtroni, forse, ma non possiedono nulla di costruito di accomodato. Potrei sfogliare altri libri, pagine intense, vite a rischio. Poi penso che m’è faticoso ormai scendere in strada e trascinarmi a prendere il caffè al bar…

 

Immagine: https://www.varesenews.it/

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