Un grande piano di esclusione sociale


 

Un grande piano di esclusione sociale

Le giunte di Roma e Milano, in buona compagnia di circa una sessantina di municipalità italiane, procedono a marce forzate verso l’applicazione di “piani d’esclusione sociale” che consentano di “ridurre l’inquinamento”. Sembra che nessun eletto si voglia totalmente schierare dalla parte dei cittadini delle periferie. I consiglieri comunali e municipali (ex circoscrizioni) non bocciano le delibere, semplicemente si astengono durante i vari consigli. Intanto la gente minaccia atti violenti e vandalici contro telecamere e rappresentanti istituzionali, e i sindaci di Milano e Roma raccolgono la solidarietà del ministro dell’Interno che, soprattutto su Roma, intende tutelare l’installazione delle nuove telecamere e della relativa segnaletica stradale. Alcuni consiglieri di destra e sinistra si sono resi conto che la gente è arrabbiata e che non può sostenere economicamente, e nell’arco di un triennio, prima il cambio dell’auto, poi di caldaia e condizionatore, quindi adeguare l’impiantistica della propria abitazione eliminando anche tutti gli elettrodomestici funzionanti ma non aggiornati per classe energetica e categorie euro.

Poi la gente meno attrezzata economicamente teme il piano d’esclusione sociale tristemente noto come “acquartieramento” (anche detto “città da quindici minuti”) possa ridurre la libertà individuale di procacciarsi un lavoro. In Gran Bretagna la giunta municipale di Oxford ha già approvato la divisione in quattro quartieri della città, ed ai residenti comuni non è permesso sortire dal proprio rione per più di cento volte l’anno: pena una sanzione di oltre ottanta sterline, nei casi di reiterazione sospensione di patente o anche misure detentive, soprattutto per disoccupati e pensionati sprovvisti di un valido motivo per sortire dalla propria zona. Il capitalismo fiscale di sorveglianza ha bisogno d’irreggimentare tutti gli umani, di controllarli continuamente: il compito di governi ed organizzazioni sovrannazionali, come vi abbiamo già spiegato, è introdurre l’obbligo alla tracciatura costante del cittadino. Chi eluderà gli obblighi, soprattutto non rispetterà i limiti a spostamenti e movimenti, o per diverse ore al giorno non risulterà tracciabile, assurgerà a criminale cibernetico, a nemico del sistema.

Ecco che governi locali e nazionali approcciano la nuova teoria urbanistica partorita da Davos circa quindici anni fa: acquartieramento o città in quindici minuti. Una teoria che influenza leggi e delibere, dominando buona parte dei progetti infrastrutturali riguardanti il modo in cui si potranno spostare i cittadini dell’Unione Europea: la  “Città dei 15 minuti” ha origine in Francia ma subito trova applicazione in Gran Bretagna, ed oggi affascina i sindaci di Roma e Milano.

“Le persone e il loro benessere come primo obiettivo dell’organizzazione urbana”: sostiene ipocritamente Carlos Moreno (urbanista della Sorbona di Parigi che nel 2016 ha inventato la “Città dei 15 minuti” su spinta della giunta parigina). Il progetto in sostanza prevede che il cittadino debba raggiungere tutto l’essenziale a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici entro un quarto d’ora, soprattutto evitare di girovagare per altri quartieri delle città.

Nel 2020 il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, complice la pandemia che aveva bloccato ogni spostamento cittadino, ha inserito la “Ville du quart d’heure” al centro della propria campagna di rielezione: promettendo l’acquartieramento ed il blocco dei cittadini nei rispettivi perimetri rionali, e perché il movimento ed il lavoro umano sarebbero le prime cause d’inquinamento.

“Il concetto di ‘Città dei 15 minuti’ dovrebbe essere visto come una serie di principi guida – ha spiegato in un’intervista l’urbanista Zaheer Allam dell’Università di Deakin in Australia – che le città possono adattare ed applicare ai propri bisogni e sfide”.

Oltreoceano a Portland, in Oregon, è stato fissato l’obiettivo entro il 2030 di rendere ai residenti raggiungibili i punti necessari alle rispettive esigenze quotidiane, in modo che i cittadini abbiano tutto nel quartiere e vengano privati dei motivi per valicare i confini della propria zona..

Trasformare le città in luoghi in cui si può far tutto in meno di quindici minuti è per certi il modo per combattere l’inquinamento ed il consumo del Pianeta. Ma non tutti la pensano così. Ma dietro questo obiettivo ambientalista si nasconde il progetto di ghettizzare le comunità escluse dalle scelte di politica finanziaria ed industriale: le classi basse e medie. Insomma isolare per sempre, e nei rispettivi quartieri, i cittadini esclusi dalle scelte politiche locali, nazionali e globali.

Al momento esiste già in Italia il progetto di una “città dei 15 minuti” in Italia: a Roma nel 2021, il Sindaco Roberto Gualtieri l’aveva inserita nei propri piani di governo locale, e come lui altri sindaci del Partito democratico ma anche in accordo con esponenti del Centro-destra e dei 5 Stelle. A Milano e Torino la “città dei 15 minuti” potrebbe decollare prima che a Roma, ma questo richiede senza dubbio la collaborazione del Ministero dell’Interno, che scongiurerebbe che la periferia possa sfogare l’ira da esclusione sociale.
A favore dell’acquartieramento dei cittadini c’è l’“Osservatorio nazionale sulla Sharing Mobility”, che ha scritto nel suo report che sessantadue città italiane avrebbero già servizi di condivisione sufficienti a chiudere i cittadini nei rioni di residenza.

A conti fatti l’operazione acquartieramento è partita: le forze di polizia, grazie all’ausilio di telecamere per il riconoscimento facciale, dovrebbero ridurre i cittadini all’idea che sortire dal proprio rione costi caro, con multe ed arresti. I primi cittadini che temono di non poter più sortire dalla propria zona sono i disoccupati perennemente alla ricerca di lavoro. Al momento le giunte di Milano e Roma contano di ridurre la loro mobilità bloccando i veicoli a motore più datati, e anche elevando il prezzo di metropolitane, bus e tram: infatti è previsto un rafforzamento della vigilanza armata e l’installazione dei riconoscimenti facciali in stazioni metro e bus, con i biglietti che salirebbero entro settembre a due euro per gommati e tre per metropolitane e servizi su rotaia. Insomma l’Europa ha imboccato la via della società ecologica esclusiva, se hai soldi ed incarichi ti puoi muovere, diversamente resti in gabbia. Gualtieri e Sala hanno trovato sponda da Ue e governo nazionale, anche perché un serio “piano d’esclusione sociale” permetterebbe di trasformare più del settanta per cento dei disoccupati in persone a “povertà irreversibile” (per motivi bancari, fiscali, giudiziari) e quindi farli sortire dalle statistiche dei disoccupati in attesa di lavoro, ponendoli nel mucchio d’una futuribile “povertà sostenibile”: un ghetto infiocchettato d’ecologismo, un patto sociale del tipo “ti dò il minimo a patto che non ti muovi”. Alcuni italiani pubblici dipendenti sono pure favorevoli e chiosano “ci vuole il metodo cinese, il ‘permesso di lavoro’, lì se ti beccano a lavorare senza permesso ti mandano nei campi di rieducazione”. Qualcosa non torna, soprattutto in materia di libertà fondamentali.

 

Immagine: https://frengus.blogspot.com/

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