Scuola di schiavi

 

Scuola di schiavi

Dopo l’ assunzione ai vertici della pubblica istruzione dell’Azzolina – quella dei banchi a rotelle e della pomposa gestualità volta a descrivere l’oggetto al quale gli studenti, oberati di compiti, non debbono assomigliare, cioè, un imbuto, o, per meglio dire l’mbuto (secondo la versione brevettata da uno dei due fratelli Guzzanti) – si é incancrenito ancora di più il sospetto che, quando ha luogo la riunione per decidere chi debba insediarsi a viale Trastevere, si adotti lo stesso criterio con cui si sceglieva il portiere tra quelli che si sfidavano nelle partitelle di calcio nel cortile del condominio: che era ineluttabilmente il più scarso, quello che mandava sempre la palla a destra con l’intenzione di mandarla a sinistra, quello col piede storto.

Non so se tale tradizione – cominciata all’ingrosso con l’avvento della Seconda Repubblica – continui con Valditara, il quale, per la verità, aveva esordito con l’apporre idealmente sulla facciata del ministero una parola – merito – che si era andata estinguendo per la damnatio memoriae decretata nei suoi confronti dagli abitanti della ‘rive gauche’ (suscitando peraltro la tumultuosa reazione dei piccoli cretini che amano accamparsi da quelle parti), ma si é poi illanguidito come se non avesse piena coscienza del fatto che per ripristinare il merito, messo fuori legge dal varo della scuola media unica del ’63 e dai decreti delegati del ’73 che sancirono (ahinoi!) l’ingresso delle famiglie negli organi collegiali, sottraendo dignità e credibilità al ruolo degli insegnanti, é necessario procedere alla svelta allo smantellamento di tutte le strutture che si sono accatastate abusivamente, col trascorrere dei decenni, sulla Scuola forgiata da Giovanni Gentile: cosa che é avvenuta non già per rimediare ai difetti di quel sistema – che possono essersi verificati per un naturale processo di obsolescenza – ma come conseguenza di una pura e semplice aberrazione ideologica, quella secondo cui la scuola che dispensava bocciature e coccarde era da abbattere perché rifletteva i vizi di una società divisa per classi, mentre era vero esattamente il contrario, che cioè l’abrogazione della proprietà selettiva, che é connaturata con qualunque organismo deputato a svolgere una funzione pedagogica (anche nelle accademie militari e anche nei luoghi in cui si fa tirocinio), avrebbe privato l’alunno socialmente svantaggiato dell’unica possibilità di cui disponeva per recuperare, col buon andamento della sua carriera scolastica, lo scarto iniziale, accusato nei confronti del compagno di banco, che era figlio dell’oca bianca.

Dato che i guai hanno il curioso malvezzo di presentarsi normalmente in coppia, un altro fattore contribuì a scuotere dalle fondamenta la scuola gentiliana (nel cui seno – mette conto sottolinearlo – si era formata l’ultima generazione dotata di coscienza critica dell’evo moderno) e a farla spiaggiare sul ‘nonsense’ di un’istituzione elefantiaca e costosa, e fu l’atto di confiscarle il ‘principio d’autorità, ciò che le serviva – come serve il corpetto di kevlar ai soldati che s’addentrano nei luoghi pericolosi – per proteggere l”autorevolezza’, il tratto distintivo dei buoni insegnanti, dal rischio che essa non venga neppure percepita dagli alunni e dalle loro famiglie: ciò che succede, qui in Italia, ogni giorno e ogni ora, una malattia mortale dalla scomparsa dei vivai dalla quale non ci si riprende con l’aspirina dei discorsi di circostanza o con l’annuncio che si sta mettendo mano al liceo del ‘made in Italy’, l’ennesima stupidaggine dopo quella escogitata da un altro genio, come la Gelmini, la quale, su suggerimento del suo mentore, Berlusconi, avrebbe voluto aprire finalmente il sipario sulla ‘Scuola delle tre i’ (Impresa, Informatica, Inglese), l’asservimento della pubblica istruzione alle meteoropatie del Mercato, la formattazione di un individuo seriale che ignora l’Iliade, ma che ha un pensiero solo, quello che i cani obbedienti hanno per il loro padrone.

Che questa scuola sia stata allestita, anche nei suoi minimi dettagli, dalle elite, mascherate da Sinistra radicale, per scongiurare il rischio di venire contestate da altre generazioni, del tutto simili a quelle che incendiarono le balle di paglia del ’68, sembrerebbe assodato, se non fosse per il sospetto, che sempre più spesso s’insinua tra le mie fragili certezze, che in realtà cademmo nella trappola di chi ci volle adoperare per metter a segno un’operazione gattopardesca: complici e vittime, insieme, di una finta rivoluzione: l’eterogenesi dei fini che si adempie a dispetto delle migliori intenzioni; i padri che divorano allegramente il futuro dei loro figli.

I reduci di quell’epopea, nella quale, invecchiando, vedo più ombre che luci, sono colpevoli di avere abbandonato i propri eredi, come si dice, in mezzo ad una strada, per la precisione all’incrocio tra l’apericena e il concerto di Mahmood, ma non se ne danno per inteso.

Nessuno, che mi consti, ha mai prestato attenzione al fatto che nel giro di due o tre decenni si é completamente volatizzato un pezzo importante della cultura italiana. Una moria gigantesca ha tolto di mezzo scrittori, poeti, registi cinematografici di livello, la peronospora ha fatto una strage, ma ciò che é peggio, non c’é nessuno che colleghi tale fenomeno alla scomparsa dei vivai e all’inquinamento dell’acqua, o che si preoccupi di sapere se andando avanti di questo passo il Paese – già danneggiato dall’essere stato cooptato come cavia dai vari Mengele nei laboratori del mondialismo – non sia destinato a fare assai presto una brutta fine.

Se intende scongiurare tali sviluppi, il nuovo Governo di centro-centro-destra, piuttosto quindi che limitarsi a modificare il frontespizio del Ministero, con l’aggiunta della parola ‘merito’, che suscita così tanto scandalo nel cortile dei Dem, dovrebbe trovare il coraggio di affondare il bisturi adottando dei provvedimenti che 1) modifichino i curricoli della scuola media superiore per adattarli alla platea attuale degli sbocchi professionali, ma restituendo la dignità perduta alle materie letterarie, che sono state sacrificate sull’altare del tecnicismo dilagante, 2) che comportino la rasatura a zero di tutti gli espedienti giuridici che sono stati messi in atto per dissuadere i docenti e i presidi dal sanzionare il rendimento deficitario degli alunni, 3) che la facciano finita, una volta per tutte, con la logica criminale da cui, sotto Giovanni Berlinguer, degno fratello di Enrico, scaturì lo ‘statuto dei diritti delle studentesse e degli sudenti’, con l’intento di spostare verso la scolaresca la facoltà di emettere giudizi e di dare voti, che é costitutiva per definizione dell’identità di chi siede dietro una cattedra; 4) che, coerentemente con la sua corrività ad adeguarsi agli standard suggeriti dall’Unione Europea (anche quando, purtroppo, appaiano palesemente inopportuni), metta mano agli stipendi del personale scolastico che hanno fatto parte sinora di questo sistema, destinato a replicare quelli del quarto e del quinto mondo.

So bene quanto sia difficile tornare indietro. Sa di restaurazione e di reazione. Indietreggiare é il verbo che si addice ai vili, agli indecisi e ai cornuti, ma bisognerebbe spiegarlo a chi si trova già qualche metro oltre il ciglio del burrone e rischia di finire ancora più sotto. In estrema sintesi, si tratta di fare il contrario della rivoluzione al contrario che facemmo tanti anni fa: la vera rivoluzione, con tante scuse per il ritardo.

 

Immagine: https://www.ilmattino.it/

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