Berlusconi: il mio coccodrillo


 

Berlusconi: il mio coccodrillo

Ei fu. Ma non era Napoleone. Era però in possesso di una straordinaria abilità nell’accoppiare gli opposti: lo spirito imprenditoriale tipico dei lumbard con l’esibizionismo chiassoso dei meridionali. E poi: la canottiera di Bossi, secessionista incallito, con la camicia bianca di Fini, il quale, dopo essersi levato dal capezzale di Almirante, si accingeva a fare un’infinità di abiure, ma che sull’unità del Paese avrebbe forse tenuto duro, anche con una pistola puntata alla nuca, sebbene – va puntualizzato – non ci sono al riguardo soverchie certezze. Eppoi, ancora, i falò con l’abbacchio nella sua tenuta in Sardegna, dove, raccontando le barzellette a Putin, che se la rideva di gusto, talvolta per finta, sognava di eliminare festosamente lo iato tra Est ed Ovest, di sanare definitivamente il diverbio tra l’orso russo e l’aquila americana.

In algebra il meno e il più si annullano vicendevolmente annunciando lo zero, ed é questo, in ultima analisi, il risultato della lunga presenza del Cavaliere di Arcore sul palcoscenico italiano, quello su cui, scendendo, per improvvisarsi politico, in realtà dette luogo a due conflitti d’interesse in uno. il primo per aver subordinato l’azione di governo alle scelte più favorevoli per la propria azienda, la ‘Fininvest’. La seconda, per aver esercitato il ‘quarto potere’, legato all’uso dei mezzi d’informazione, dei quali aveva il monopolio al di fuori della mano pubblica, senza mai preoccuparsi che tale intreccio potesse riverberare sulla credibilità dell’ordinamento democratico. Questa tendenza a fare da sensale tra due opposti – in mancanza di progetti a lunga scadenza e sotto l’incalzare delle necessità contingenti – traspare anche dal conio del termine ‘moderato’, che rinvia a situazioni di comodo, che non sono nè carne nè pesce e che fanno pensare, per esempio, alle donne insoddisfatte, che, stanche delle premure del marito, sognano nottetempo di aggrapparsi al più ruvido degli amanti.

Per tutto il tempo in cui Berlusconi é stato in auge, e per tutto quello in cui si é illuso di essere vivo (un pò l’eclissi lenta di Tito: trasformato ‘illo tempore’ in un inestricabile groviglio di pompette e di tubi), si é celebrato il trionfo di due intollerabili aberrazioni, l’uso politico della deterrenza giudiziaria, e l’uso, per l’interesse privato di un solo uomo, delle altre istituzioni della Repubblica, giacché sembrano non esserci più dubbi sul fatto che ‘Forza Italia’, il partito di plastica sorto sulle spoglie del vecchio sistema di partiti franato addosso a Forlani e a Craxi, sia stato pensato al di fuori dei confini nazionali come risposta preventiva all’eventuale avanzata della Destra sociale e, contestualmente, al rischio, ancorché solo teorico, che fosse sopravvissuta anche la più piccola dose di comunismo nella compagine che si liberava a mò di insetto dall’esoscheletro del PCI.

Ora che Berlusconi non c’é più non si vede come ‘Forza Italia’ possa sopravvivergli, popolato qual é di cortigiani scarsi, da quel ministro seriale che ha lasciato di sé un’impronta sbiadita dovunque abbia posato le terga, alla ministra della Pubblica Istruzione – la mediocrità incarnata – che riceveva dal ‘Cavaliere l’ordine di accompagnare al guinzaglio il mostro dell’aziendalismo sin dentro la Scuola, ad un ministro degli Esteri che qualcuno vorrebbe sentir parlare ogni tanto ma che insiste , in differita, nel voler competere col pappagallo di Portobello.

Essendosi trattato di un personaggio pubblico, é molto probabile che ciascuno di noi abbia aperto un album apposta per lui e che stia scegliendo quelle che sono a suo giudizio le migliori istantanee per ricordarlo. Io ne segnalo subito una: quella della bellissima villa di Arcore che il Cavaliere comprò per quattro soldi dalla figlia orfana dei marchesi Casati Stampa, finiti entrambi in una tragica storia di sesso e di sangue, per il tramite di Cesare Previti (successivamente ripagato con tanti incarichi di prestigio, compreso lo scranno più alto nella sala riunioni del dicastero della Difesa), il quale era stato investito della grave responsabilità, da parte dei magistrati, di vigilare sulle fortune ereditate dall’implume bambina. Ne ho un’altra in cui lui compare, come un implacabile ologramma verde, sullo sfondo di tutte le conversazioni che ho avuto, en passant, con dei giovani maghrebini per spiegargli – quando anche lì arrivava il segnale emesso dalle emittenti di Berlsusconi – che l’Italia non era tutta un ‘Drive In’, e che c’era poco da ridere, e la cosa, dato che si ripeteva ogni volta che scoprivano di parlare con un italiano, mi faceva incazzare di brutto.

Tra le istantanee che metterò a riposo nella raccolta – la copertina orlata di una sottile filettatura d’oro – ci sarà anche quella, venuta male, sfocata, dello stalliere – un certo Mangano – che era alle dipendenze di Berlusconi e che alimentò – senza che fosse poi associata a dei riscontri obiettivi – la voce secondo cui questi era stato assunto su indicazione della Mafia: parole, parole, dubbi, sospetti, usciti, con molta probabilità dalla catena di montaggio allestita contro di lui dalle Opposizioni, e che imprimono sulla pellicola predisposta per la testimonianza storiografica, una traccia effimera, uno sbaffo, del tutto simile a quelli che rimarranno negli annali della Repubblica, dove l’apprendista statista ha contato enormemente meno del presidente del Milan e del padre padrone di un impero economico come quello della Fininvest.

Ho da collocare le ultime tre foto. In una, Berlusconi si cimenta nell’imitazione del picciotto ossequioso baciando la mano di Gheddafi, che é appena sceso dall’aereo, gli occhiali scuri incollati sul volto scuro, circonfuso di una nuvola di stoffa, in mezzo ad uno stuolo di amazzoni nerborute, che nemmeno Rocki. Tutto questo quando, trascorsi pochi mesi, i caccia decollati dalla base di Sigonella, presa in affitto dai Francesi e dagli Americani, sfrecceranno sull’ultimo rifugio occupato dal Colonnello per costringerlo ad avventurarsi nel deserto, la traiettoria suicida di una blatta nera che nuota nel latte.

Ne ho altre due, scattate in rapida sequenza: del Cavaliere che smonta dall’auto blu e scorge una vigilessa messa a squadra che sta infilando una farfalla di carta nel tergicristallo di una macchina parcheggiata male. L’atto di posizionarsi dietro di lei, per interpretare una delle ricette più gettonate del kamasutra, é stato tutt’uno, in un battibaleno rapace, con quello di averla notata: la raffinata eloquenza degli affreschi di Pompei, la dimostrazione di quale deve essere la virtu’ primaria di un grande statista, quella di collegare con la velocità del 5G le sinapsi per assicurare le migliori decisioni al proprio Paese, detto e fatto.

Avrei mille altri argomenti da spendere con l’obiettivo di illustrare Berlusconi, adesso che se n’é andato, e per ribadire – qualora non si fosse ancora inteso – che provo per lui lo steso dispiacere che mi é stato procurato dal trapasso di Mario, uno della scala B, di quasi novant’anni, che ci ha lasciato due settimane fa.

Piuttosto, visto che siamo in argomento, esprimo preoccupazione per quella donna che ho visto in diversi filmati sciogliersi nelle lacrime mentre canta a squarciagola ‘ taraté, taraté, meno male che Silvio c’é’.

Ecco, non vorrei che le venisse voglia di compiere un gesto insano. Controllatela.

 

Immagine: https://www.ilfattoquotidiano.it/

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