Il totalitarismo sovranazionale avanza

 

Il totalitarismo sovranazionale avanza

Le tendenze globali del mondo di oggi e i riflessi nell’economia internazionale suggeriscono che la “democrazia” in quanto tale è ormai un concetto svanito che non è più attuale neppure nelle nazioni dell’occidente.

Si può sostenere che allo stato attuale gli onnipotenti organismi sovranazionali e gli interessi costituiti delle grandi corporations e della finanza hanno di fatto esautorato ogni concetto di democrazia imponendo un sistema di totalitarismo sovranazionale che di democratico conserva solo la facciata. Gli interessi e la volontà delle élite prevalgono sulla volontà dei popoli e delle classi subalterne.

Se andiamo ad esaminare le tesi e la predicazione del World Economic Forum (WEF), l’organizzazione di cui Klaus Martin Schwab è direttore esecutivo e che riunisce ogni anno leader economici, politici e sociali nella località invernale svizzera di Davos, tutto questo trova conferma.

Tutti strenui difensori della globalizzazione come massimo fattore della prosperità planetaria, hanno dovuto constatare che gli effetti della guerra in Ucraina fra Nato e Russia, hanno portato a una frammentazione dell’unità di mercato, forgiata secondo i principi della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, che avevano assunto come autentico dogma di fede neoliberista.
 
Gli effetti perversi ed i danni collaterali che sono derivati dal conflitto fra la Russia e la Nato, in Ucraina, hanno lasciato le strozzature nel commercio internazionale e nella logistica, una escalation dei prezzi dell’energia, oltre alle tensioni geopolitiche derivate dal conflitto armato sul suolo europeo, che hanno suscitato la più grande spirale inflazionistica degli ultimi quattro decenni. Senza contare gli aumenti eccezionali del costo del denaro in tutta l’orbita industrializzata e l’accesso limitato al credito e al finanziamento internazionale, nonché una elevata volatilità nei mercati dei capitali, delle merci, incluse le materie prime alimentari con conseguenze nefaste sui paesi più poveri, paragonabili ad una carestia generalizzata. Questi effetti hanno stimolato il rischio di deglobalizzazione .

Questa constatazione si è diffusa a Davos. A bocce ferme oggi si può valutare quali ricette siano state auspicate nel corso dell’incontro annuale del forum di Davos.

1. Gli Stati Uniti per primi sostengono la distruzione della globalizzazione

L’amministrazione USA, che si è servita più di altri paesi del sistema di regole che ha sottoscritto alla fine della seconda guerra mondiale e che aveva approvato tutti gli accordi di libero movimento commerciale e di investimento, cosa che ha permesso all’occidente industrializzato di ridurre i costi di manodopera e ottimizzare i ricavi, a scapito della forza lavoro, oggi, ritirandosi da tutti gli accordi, sta facendo marcia indietro di fronte alla contrapposizione con il blocco di paesi liberati dalla Cina e dalla Russia.

Come scrivono gli analisti del The Economist, questa è un’altra prova della volontà dell’amministrazione Biden di scindere la globalizzazione in due blocchi commerciali, uno occidentale, guidato dagli Stati Uniti, e l’altro guidato dalla Cina. Con il veto al trasferimento di tecnologia e componenti elettronici made in USA al gigante asiatico, si rende chiara  l’intenzione di incorporare i suoi alleati europei e asiatici nella sua politica commerciale restrittiva, favorendo la delocalizzazione verso gli USA delle imprese europee assillate dai costi dell’energia, non più fornita a buon mercato dalla Russia.

Biden ha abbandonato certe regole del libero mercato e ha applicato una politica industriale aggressiva con ingenti sussidi — di 465.000 milioni di dollari — per l’energia verde, i veicoli elettrici o il settore dei chip e dei semiconduttori e per incoraggiare la produzione nazionale.

2. La strategia protezionista si attiva sul pianeta

In India, la metà del costo per la creazione di un impianto di produzione di chip è stato sostenuto dal bilancio statale o in Corea del Sud sono stati attivati significativi tagli fiscali incentrati sul progresso industriale. In altri sette Paesi, l’ammontare degli aiuti annunciati dal 2020 supera i 1.100 miliardi di dollari, una cifra simile al PIL dell’Indonesia o dell’Arabia Saudita, che si colloca sulla scia della dimensione economica della Spagna, secondo la classifica, prezzi di mercato attuali, del FMI.

In Europa, lo scorso anno, quasi la metà degli accordi commerciali transnazionali ha ricevuto il vaglio di vigilanza delle autorità comunitarie, mentre le nazioni che esportano materie prime hanno imposto limiti alle loro vendite perché considerano questi beni strategici per le loro economie. Tra gli altri, l’Indonesia con il nichel o il tentativo di Argentina, Bolivia e Cile di creare una sorta di OPEC per il litio, un cartello che controlla i prezzi e la produzione e fornitura di un materiale chiave per la fabbricazione di batterie per l’auto elettrica.

3. L’Europa sta cercando di seguire la tendenza

Protezionismo anche alla base della presentazione, a Davos, del piano europeo per le tecnologie verdi. Come il resto delle potenze mondiali che intendono accelerare la corsa alla transizione energetica.  Grande impulso agli investimenti di quello che è noto come il Green Deal Industrial, un’iniziativa che cerca di emulare le risorse statunitensi, che si aggirano intorno ai 400.000 milioni di dollari, un enorme business in cui sono coinvolte le massime entità finanziarie mondiali e che viene spacciata per una svolta fondamentale per contrastare le emissioni di CO-2 e il fenomeno del cambio climatico, benché contestato da molti scienziati indipendenti.

La Von der Leyen, il capo della Commissione Europea, ha qualificato che i finanziamenti europei sono un “adeguamento temporaneo delle regole sugli aiuti di Stato” essenziale per trasformare la capacità industriale dell’UE, e che sono intesi come “soluzione ponte” per facilitare un sostegno rapido. Tutto per facilitare il piano della “green economy” dove, guarda caso, sono coinvolti i grandi interessi finanziari. Quando si devono trovare le risorse relative a questi interessi, non ci sono problemi, mentre mancano le risorse per i piani di sviluppo sociale quali sanità, scuole, trasporti, aiuti alle famiglie, ecc..

4. La Cina, cambia il suo ruolo

La Grande Fabbrica del mondo comincia ad abbandonare il ruolo di motore della globalizzazione. L’inversione di tendenza dell’ordine mondiale dopo la guerra in Ucraina ha messo in moto la strategia del Quattordicesimo Piano Quinquennale (2021-2025), in cui Xi Jinping ha lanciato ufficialmente la sfida per impadronirsi dell’egemonia geopolitica, economica e monetaria internazionale, che comprendeva uno spostamento del sistema produttivo cinese verso la domanda interna —consumi delle famiglie e investimenti delle imprese— che non può raggiungere tassi vicini alla doppia cifra, come negli ultimi quattro decenni per effetto del brillante vigore del suo settore estero.

Piuttosto la Cina guida il blocco dei paesi BRICS, in netta espansione, che oggi rappresentano l’alternativa al blocco occidentale e che hanno superato quest’ultimo in potere d’acquisto. Questo mentre il BRICS si appresta a lanciare una nuova valuta alternativa al dollaro, a partire da Agosto 2023.

5. I miliardari riflettono il cambiamento dell’ordine mondiale

Le grandi fortune di Davos hanno aumentato la loro ricchezza di 2,7 miliardi di dollari al giorno. Questa è la clamorosa conclusione del rapporto della ong Oxfam Intermón a Davos. Un divario che si è allargato dopo il biennio della Grande Pandemia e l’alto rischio geopolitico ed economico-finanziario generato nel 2022. Ovvero, l’1% della élite di grande ricchezza del pianeta ha rappresentato il 63% della nuova prosperità creata tra la fine del 2019 e del 2021 nei mercati globali. In Spagna, dal 2020, i più ricchi hanno aumentato i propri depositi di quasi 3 miliardi di dollari.

“Per ogni dollaro di nuova ricchezza che riceve una persona del 90% più povero dell’umanità, un miliardario intasca 1,7 milioni di dollari”, ha detto Franc Cortada, direttore della Ong, che ha aggiunto “come estrema ricchezza e estrema povertà nel mondo sono aumentate simultaneamente per la prima volta in 25 anni. In un vertice in cui i miliardari russi hanno brillato per la loro assenza, ma in cui sono state registrate 116 fortune con oltre 1.000 milioni di ricchezza , il 40% in più rispetto a un decennio fa”.

6. “Dare priorità al benessere delle persone”

Era il messaggio del presidente spagnolo, Pedro Sánchez, l’élite imprenditoriale e finanziaria. “Sai che il sistema non è giusto, che è pieno di ingiustizie e disuguaglianze e che è ora di risolverlo. Dobbiamo dare priorità al benessere delle persone. Il mio governo è impegnato in questo obiettivo”, ha insistito Sánchez, che ha sottolineato l’aumento delle disuguaglianze e la stagnazione della mobilità sociale. Predica bene Sanchez mentre ha concesso un aiuto di centinaia di milioni in armi e attrezzature per la guerra in Ucraina in sostegno della NATO e  delle politiche degli USA.

7. Rimodellare la leadership

È la formula teorica lanciata da Klaus Schwab, leader e fondatore di Davos, per cercare di far sì che la globalizzazione, invece di frammentarsi, diversifichi e sia riconvertita, come ammonisce il McKinsey Global Institute, il think tank della consulenza globale, in collaborazione con il WEF , in un processo di crescita e ricchezza sostenibile, digitale e inclusivo.

Il tutto si concretizza in un “bla bla” di buone intenzioni teoriche dominate dalla esigenza di “superare le incertezze economiche e il difficile divario geopolitico” per ritornare ad una crescita che privilegi i profitti degli investitori e dei detentori di grandi capitali, contrastando l’espansionismo della Cina sui mercati e stabilizzando il più possibile la dominance finanziaria degli organismi sovranazionali sugli Stati e sui governi.

Queste le priorità dei magnati e degli oligarchi riuniti a Davos ma si è notato, a detta di alcuni osservatori, il serpeggiare di una certa inquietudine, non soltanto per le tensioni geopolitiche, la guerra e il possibile degenerare di questa, quanto per il timore di dover fronteggiare una rivolta di popolazioni che iniziano a non credere più ai bei programmi enunciati e che sono stanche delle enormi disuguaglianze, dello sfruttamento e delle politiche guerrafondaie.

Gli echi di queste proteste iniziano a sentirsi anche dietro le finestre ovattate dei castelli riservati dove si riuniscono le élite.

 

Immagine: https://www.agendadigitale.eu/

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