Se avessero potuto, le avrebbero mandato, come avevano già fatto con Berlusconi nel novembre del 1994, un mandato di comparizione innanzi a qualche Procura, ma ne sono stati impediti sia dal fatto che ella era fuori giurisdizione, sia dall’insuccesso patito nel cercare di trovare tra le pieghe del suo vissuto – da premier e da semplice cittadino – un qualche elemento che scatenasse la reazione giudiziaria contro di lei. Allora il capo del Governo stava presiedendo a Napoli un Forum indetto dalle Nazioni Unite su come debellare la criminalità organizzata e si vide piombare addosso i carabinieri con delle paginette, vidimate dalla magistratura milanese, con cui gli si intimava di presentarsi immantinente davanti a lei per rispondere di alcune irregolarità commesse nel farsi attribuire delle frequenze televisive.
Il ‘Corriere della Sera’ si era preso la briga di amplificare per quanto più possibile l’evento perché l’essersi verificato in margine ad un consesso internazionale e l’averlo in qualche modo soppiantato in termini d’importanza, fossero condizioni decisive nel provocare lo sfratto del reietto da palazzo Chigi. Un golpe elegante, felpato, patinato, in pantofole, mica come quell’energumeno di Tejero che irruppe, armato di una pistola, nell’emiciclo delle Cortes e costrinse i deputati a nascondersi sotto i banchi gridando che loro non c’entravano niente. Il paradigma ha attecchito, proponendo l’aggiunta o l’elisione di alcune varianti. La magistratura in coppia coi media. I media da soli, ma con l’insopprimibile sospetto che dalla buca del suggeritore ci sia sempre qualcuno che gli ricordi il copione, non soltanto accidentalmente delle battute.
Così è successo che mentre la Meloni partecipava, la settimana scorsa, al Cairo ad un convegno di capi di Governo arabi e occidentali sulle turbolenze del Medio Oriente, qualcuno ha aperto la bombola e l’ha investita con una nube di gossip asfissiante, una storia di corna probabili, e il compagno sigillato, come certe sagome estratte dalle rovine di Pompei, nell’atto di indicare all’inclito e al volgo le misure del proprio ‘pacco’: niente di meglio, quindi, in mancanza di alternative, per sminuirne il ruolo e per farle smarrire di punto in bianco la certezza di averne uno qualsiasi in mezzo ai valvassori e ai valvassini della Terra.
Immagino, fra l’altro, che la Meloni non fosse completamente in sintonia coi bei discorsi pronunciati dai suoi colleghi al Cairo e che la sua mente fosse, al contrario, come un alveare dentro il quale ronzavano, rincorrendosi in modo tumultuoso, molte espressioni non ancora autorizzate dall’Accademia della Crusca, tipo ‘sto gran fijo de’na….’ e ‘mortacci sua…’, e contemporaneamente mi chiedo cosa sarebbe stato del nostro disgraziato Paese se, nel ’46, alla Conferenza di Pace di Parigi, dove, peraltro subimmo delle dolorose bastonate, De Gasperi fosse stato tirato per un lembo della giacca da qualche commesso che gli comunicava di essere atteso in Patria dai carabinieri per una vecchia pendenza col Fisco, e cosa sarebbe della credibilità e dell’autenticità di Bergoglio se prima di affacciarsi dalla finestra che dà su San Pietro scoprisse su di un giornale messo lì apposta che tutti ormai sanno di che colore la fa appena alzato.
Parliamoci chiaro, se Montesquieu tornasse in vita, ammetterebbe di aver scritto delle solenni stronzate, concentrandole soprattutto nell”Esprit des Lois’, e annuncerebbe di aver preso un grosso abbaglio nel circoscrivere i poteri all’ambito delle leggi, senza considerare quello finanziario da cui vengono regolarmente concepite per vie traverse e senza tener conto di quello mediatico che non influisce, almeno all’apparenza, sulla formazione di alcuna legge, ma contribuisce, ancor più delle chiese, della scuola e della famiglia, a creare i modi di dire, di essere e di pensare, che impattano sul destino dei singoli e della società con una forza di gran lunga superiore a quella attribuita alle leggi, che sono, peraltro, revocabili in qualunque momento.
Un abbaglio che – povero Montesquieu – gli si può tranquillamente perdonare perché l’ineluttabile tendenza delle tragedie a progredire spedite verso il collo della bottiglia (eravamo alla vigilia della Rivoluzione Francese) agisce come una droga, sulle menti migliori che eccedono nel vagheggiare mondi impossibili, e quello in cui ‘il potere giudiziario si sarebbe dovuto separare…’ per generare libertà ‘…dagli altri due poteri, l’esecutivo e il legislativo’ non lo era da meno.
Montesquieu non poteva sapere che quasi trecento anni dopo, in un Paese come l’Italia, dove l’ordinamento democratico era stato ripristinato al termine di una guerra, un uomo appartenente alla magistratura , di nome Palamara, avrebbe confermato la viziosa inclinazione del potere giudiziario ad uscire da se stesso e ad occupare spazi non suoi – segnatamente quelli della sfera amministrativa e politica – nel tentativo di ratificare coi caratteri in neretto la propria indipendenza sancita dalla Costituzione: un gioco pericoloso per la sopravvivenza stessa dello Stato, giacché è evidente che, nel forzare in questa direzione, il potere giudiziario finisca per cercare sponde e alleati fra gli attori del certame politico e, quindi, per diventarne parte integrante, anche nell’ottica delle dinamiche prodotte dalle conventicole di Bruxelles e di Washington (ogni riferimento all’epopea di ‘Mani Pulite’ è puramente casuale).
Da qui, allora, il viavai dei magistrati, denso come quello di tante vespe arrabbiate, intorno alla ‘Diciotti’, piena di clandestini, ormeggiata a Catania; la messa in stato di accusa di un ministro della Repubblica, colpevole di aver voluto difendere le frontiere dall’invasione e, in ultimo, il caso dell’Apostolico che, per conto dello Stato, si rivolge contro di esso dopo averlo insultato proclamandosi esente da ogni sentimento politico: la rappresentazione plastica dello Stato che si prende a schiaffi da solo, lo sfrigolio del corto circuito che il Sig. Montesquieu non aveva contemplato, nonostante la sua intelligenza fosse stata capace di bucare il tempo – oltre il dispotismo decrepito di Luigi XIV, oltre l’uso spropositato della ghigliottina, oltre Napoleone – e avesse intravisto, in mezzo a tanta nebbia, qualcosa che avrebbe potuto assomigliare alla moderna democrazia parlamentare.
Tutto ciò, però, senza che avesse la più pallida idea di quanto male essa avrebbe funzionato per l’impossibilità di tenere in perfetto equilibrio i tre poteri ( se non quello esecutivo e quello legislativo che sono quasi sempre connessi l’uno all’altro appassionatamente) e di quale sarebbe stato il risultato dell’azione politica svolta dall’Esecutivo quando quello giudiziario, divenuto ipertrofico in nome di una teorica libertà, priva di concretezza e di contenuti, le si fosse opposta costantemente condannandolo al discredito e al coma.
Avevo, nelle prime righe di questo articolo accennato al potere dei media, sconosciuto all’epoca di Montesquieu. Allora, non esisteva Mara Venier che pontificava, insieme a tanti altri striduli personaggi, ai lati del lavatoio televisivo, né Mentana ne’ Mieli che entravano in conflitto d’interessi, nei più oscuri recessi della propria coscienza umana e professionale, commentando le sanguinose leggende del Medio Oriente, né quella chiassosa moltitudine di soggetti che straparla di tutto e di tutti mettendosi al centro del piccolo schermo, giacché la loro parola forma e formatta milioni di individui che poi andranno a votare e che poi troverai, così diversi da te, sotto casa.
Tra non molto – questione di qualche anno, al massimo – ci incontreremo al bivio, per decidere se conviene continuare con questo andazzo o cambiare registro, magari a scapito di qualche principio che suona bene, ma nuoce.
Franco Scalzo